François Pinault (foto LaPresse)

Lo scontro tra Arnault e Pinault si sposta sui musei

Mauro Zanon

I due colossi dell’imprenditoria francese, dopo essersi affrontati sul terreno del lusso, rilanciano la propria competizione su quello dell'arte

Parigi. Tutto è iniziato il 19 marzo 1999. Bernard Arnault, re francese del lusso a capo di Lvmh, adocchiava da ormai cinque mesi la casa di moda italiana Gucci. E in quella mattinata pre-primaverile, era pronto a fare il grande annuncio: “La maison di Firenze, di cui possiedo una quota del 34,2 per cento, verrà interamente acquisita da Lvmh, e diventerà la più influente casa di moda del mondo”. Ma quella frase, da Arnault, non venne mai pronunciata. Perché un imprenditore bretone che conosceva molto bene, portando avanti le negoziazioni nel segreto più assoluto, gli aveva appena sfilato Gucci sotto il naso: François Pinault, allora patron del gruppo Pinault-Printemps-Redoute (Ppr), poi ribattezzato Kering. Fu un’umiliazione senza precedenti per Arnault, uno sberleffo da 3 miliardi di euro, che permise a Pinault di accaparrarsi il 42 per cento di Gucci. Lo stesso giorno, come se quello sgarbo non fosse già abbastanza pesante, il numero uno di Ppr fece sapere alla stampa che avrebbe preso anche il controllo della divisione Beauté (Yves Saint-Laurent, Roger Gallet, Van Cleef & Arpels) del colosso Sanofi, l’altra preda concupita da Arnault. Quest’ultimo provò a rispondere con un’opa sul 100 per cento di Gucci e una controproposta per Sanofi Beauté, ma non ci fu niente da fare. L’offensiva di Pinault era stata perfetta.

 

Tutto cominciò nel 1999 con la "bataille Guccì", come la chiamano ancora a Parigi, quando il bretone soffiò la casa italiana a Lvmh

Mai nessuno aveva osato sfidare Arnault sul suo terreno, quello del lusso, dove nel corso degli anni Novanta era divenuto il leader indiscusso a livello mondiale. Mai nessuno si era permesso di affrontarlo con quella faccia tosta. “L’obiettivo è quello di costruire un gruppo con grandi uomini e con grandi marche in maniera positiva. Non è stata una mossa contro Monsieur Arnault o contro qualcuno in particolare”, disse Pinault, all’epoca, alla stampa. Domanda di un giornalista: “Ha avvertito Monsieur Arnault o ha discusso con lui prima di lanciarsi?”. Risposta: “Non sono abituato a comunicare il giorno in cui dichiarerò guerra, il giorno in cui attacco e dove attacco”. Fu la “bataille Guccì”, come la chiamano ancora a Parigi, la prima delle innumerevoli battaglie tra i due titani del capitalismo francese. Fu quell’oltraggio, com’è tuttora considerato da Lvmh, a scatenare la guerra totale tra il figlio di un piccolo mercante di legno bretone, divenuto uno dei più importanti collezionisti d’arte del mondo, e il figlio di un grande industriale alsaziano, che oggi guida un impero che ha chiuso il 2016 con 37,6 miliardi di euro di fatturato. Una guerra ventennale combattuta sui campi della moda, del lusso, del vino, della stampa, dell’arte, e, da quando Arnault ha inaugurato la sua Fondation Louis Vuitton per l’arte contemporanea alle porte di Parigi, su quello dei musei.

 

La rivalità tra la prima fortuna di Francia, Arnault, e la quinta, Pinault, è entrata infatti in una nuova fase da quando il fondatore della holding Artémis ha annunciato che all’inizio del 2019 verrà inaugurata, nel pieno centro della capitale francese, la sua Fondation dedicata all’arte contemporanea. “Questo progetto culturale ha come obiettivo quello di condividere la mia passione per l’arte del mio tempo con il maggior numero di persone possibile. E’ un progetto che ha visto la luce a Venezia, dieci anni fa, con l’apertura di Palazzo Grassi e in seguito di Punta della Dogana. Questi due spazi saranno in costante relazione con il sito parigino. Come per Venezia, si tratta di un’iniziativa personale, alla quale ho voluto associare i membri della mia famiglia, i miei figli, e in particolare François-Henri Pinault. Tutti mi accompagnano in questa avventura, che, me lo auguro, permetterà a Parigi di rafforzare la sua posizione unica sulla scena internazionale”, ha dichiarato a luglio il mecenate francese accanto al suo architetto di fiducia, il giapponese Tadao Ando. Durante la conferenza stampa di presentazione, in presenza della sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, Pinault si è soffermato a lungo sull’importanza del luogo in cui sorgerà la sua fondazione, ossia l’ex Bourse de commerce, uno splendido edificio circolare del Settecento sovrastato da una cupola in ferro e vetro, situato nel quartiere di Les Halles, a pochi passi dal Centre Pompidou. Per un “dialogo sereno e benevolo con questo tesoro patrimoniale”, come lui stesso lo ha definito, Ando ha pensato a un cilindro di cemento, alto nove metri e con un diametro di trenta, che sarà inserito nell’emblematica rotonda dell’edificio. “Questo cilindro sarà l’epicentro dell’edificio, che è l’epicentro del centro culturale di Parigi, a sua volta il cuore della cultura nel mondo”, ha detto Pinault.

 

Nel 2019 sarà inaugurata
la Fondation Pinault: la rivalità
tra la prima e la quinta fortuna
di Francia è entrata
in una nuova fase

Non servono troppi sforzi per capire che dietro questa insistenza sulla posizione centrale del suo progetto museale ci sia una frecciata al boss di Lvmh, la cui fondazione si trova invece nel mezzo del bois de Boulogne, addirittura oltre il périphérique, la tangenziale che cinge la capitale francese. E’ vero che siamo pur sempre nel Sedicesimo, ossia l’arrondissement più aristocratico di Parigi, è vero che siamo a due passi da Neuilly-sur-Seine, il sobborgo chic dove risiede la Francia che conta, ma non è la stessa cosa di stare al 2, rue de Viarmes, nel Primo arrondissement, indirizzo della futura Fondation Pinault.

  

Nel 2000, il fondatore di Kering aveva pensato di costruire il proprio museo d’arte contemporanea nell’Île Seguin, a Boulogne-Billancourt, nella sede di un ex stabilimento della Renault non distante dal lembo di terra dove oggi troneggia la Fondation Louis Vuitton disegnata dall’architetto canadese Frank Gehry. Ma a causa delle lungaggini burocratiche, di cui si lamentò pubblicamente nel 2005 in un intervento sul Monde, decise di rinunciarvi e di esportare le sue idee a Venezia, con reazioni molto acide e sdegnate dei salotti del Tout-Paris. “Tornerò quando le condizioni saranno riunite”, disse all’epoca Pinault, quando all’Eliseo c’era l’amico Jacques Chirac. Ma nessuno, nemmeno l’ex presidente della Repubblica, credeva che l’uomo d’affari bretone sarebbe ritornato in patria per costruire un altro polo museale. E invece, grazie all’iperattivismo dell’ambiziosa Hidalgo, eccolo di ritorno, sotto lo sguardo irritato di Arnault. “Per liberare questo luogo prestigioso e riconosciuto come monumento storico nel cuore delle Halles, la sindaca, recentemente convertita all’arte contemporanea, si è data molto da fare. Ha fatto pressione sulla Camera di Commercio di Parigi (…) L’edificio si estende su una superficie di 10 mila metri quadrati, di cui 3 mila utilizzabili per le esposizioni. Un auditorium da 300 posti permetterà di proiettare film, di organizzare concerti e conferenze. Come nel progetto di Bernard Arnault, un ristorante di lusso verrà installato tra il terzo e l’ultimo piano, con vista sulla chiesa di Saint-Eustache.

 

Alla stregua di quanto fatto con Arnault, la giunta socialista ha dato a Pinault la Bourse de commerce
in concessione per cinquant'anni

L’arte contemporanea va volentieri a braccetto con una ricerca di immagine e di profitto”, scrivono i giornalisti Airy Routier e Nadia Le Brun nel libro “Notre-Drame de Paris”. Alla stregua di quanto fatto con Arnault, cui ha conferito le chiavi dell’ex Museo delle Arti e delle Tradizioni popolari, la giunta socialista ha dato a Pinault la Bourse de commerce in concessione per cinquant’anni. “Anne Hidalgo è stata per molto tempo allergica all’arte contemporanea, di cui si prendeva spesso gioco, fino a quando non ha realizzato che si trattava di un centro di potere valorizzante e modaiolo, che permette di frequentare le grandi fortune”, si legge in “Notre-Drame de Paris”. Ma al di là dell’interesse politico nel mostrarsi accanto ai due mecenati, sta di fatto che la sindaca socialista sta rilanciando Parigi come capitale mondiale dell’arte contemporanea, e dallo scontro a colpi di opere d’arte e musei tra Arnault e Pinault potrà soltanto trarre vantaggio. Alla Fondazione Louis Vuitton, la mostra dedicata alla collezione Schukin, dal nome dell’imprenditore russo che raccolse per amore dell’arte numerosi capolavori impressionisti, cubisti e fauve, ha battuto tutti i record con 1 milione e 200 mila visitatori in poco più di quattro mesi. E con l’esposizione, attualmente in corso, “Être moderne: le Moma à Paris”, 200 opere provenienti dal museo newyorchese che verranno custodite nel tempio avveniristico di Gehry fino a marzo 2018, Arnault conta di fare meglio. Pinault, per ora, può soltanto stare a guardare. Ma già scalpita per rubare lo scettro di re dell’arte contemporanea al suo rivale. Con l’esposizione di una parte della sua eccezionale collezione privata, che conta più di 3.500 opere, il magnate bretone è pronto a fare un grande regalo a Parigi, con l’aiuto del fidato Martin Béthenod, che curerà le esposizioni come fa già a Venezia. “Saranno accolti due tipi di progetti: da una parte le esposizioni tematiche attorno alle opere della Collezione Pinault, dall’altra le esposizioni monografiche consacrate agli artisti della Collezione”, ha spiegato Béthenod.

 

Per ora si sa che il futuro museo ha un costo che si aggira attorno ai 108 milioni di euro, che con i suoi spazi aspira ad accogliere fino a duemila persone ogni ora e che sarà “consacrato al 100 per cento all’arte contemporanea, senza scimmiottare – parola di Pinault – né il Louvre né il Centre Pompidou”.

 

“Pinault-Arnault: la guerre de l’art contemporain”, titola in questi giorni la stampa parigina, anticipando la nuova guerra che verrà. Anche se è negli anni Novanta che è iniziato il loro spietato duello artistico, combattuto anche con “metodi occulti”, come racconta il Figaro, “pedinamenti, spionaggio industriale e furti misteriosi”. Lo scontro per aggiudicarsi i grandi marchi di lusso, Gucci, Balenciaga e Yves Saint-Laurent a Pinault, Dior, Fendi e Bulgari ad Arnault, si è spostato, nel corso degli anni, sul campo del collezionismo d’arte. Il primo, più arrembante e sanguigno, ha debuttato negli anni Settanta con l’acquisto di un quadro della scuola di Pont Aven, puntando in seguito su Jeff Koons, Damien Hirst e Maurizio Cattelan. Il secondo, più classico e discreto, ha esordito nel collezionismo nel 1982 con un dipinto di Monet, adattandosi in seguito al mercato: ha chiesto a Richard Serra le stesse sculture che voleva Pinault, ha giocato al rialzo per aggiudicarsi le opere di Rothko che erano finite sotto il mirino del suo antagonista e ha comprato un Basquiat da 26 milioni di euro per ingelosirlo. Ma sottovoce sono in molti a dire che Arnault, in realtà, non sia un grande esperto di arte, e che la sua Fondation per l’arte contemporanea sia stata creata soltanto per valorizzare l’immagine di Lvmh. “I loro gruppi rispettivi rivaleggiano nel campo del mecenatismo per sostenere le grandi esposizioni di Parigi e New York, occasioni mondane per mostrare la loro potenza”, scrive il Figaro. Anche sulle case d’asta c’è stata una lotta di ego: Christie’s, rilevata nel 1998 dalla holding Artémis, è tuttora sotto il controllo della famiglia Pinault; Philipps, fagocitata nel 1999, è stata abbandonata da Lvmh già nel 2003, dopo una serie di vendite disastrose.

 

"I loro gruppi rivaleggiano nel campo del mecenatismo per sostenere
le grandi esposizioni di Parigi e New York", scrive il Figaro

Fino alla “bataille Guccì”, Arnault era il re del lusso, e il suo futuro rivale il re della distribuzione, con i grandi magazzini Printemps, La Redoute e Conforama. Poi comincia la guerra totale anche in settori paralleli al mondo dell’arte. A partire dalla carta stampata. Arnault conquista Les Echos nel 2007 e il Parisien nel 2015. Pinault, invece è da dieci anni l’editore del Point, il settimanale di riferimento della destra liberale parigina. Sui vini e gli champagne, Arnault sembrava essere in netto vantaggio con Moët & Chandon e Dom Pérignon, ma poche settimane fa Pinault ha messo a segno il colpo dell’anno: acquisendo, in Borgogna, la tenuta Clos-de-Tart, che produce il noto Grand Cru Monopole, uno dei più importanti vini di Francia. Costo dell’operazione? Circa 250 milioni di euro per 7,53 ettari. Chissà come andrà a finire la guerra dell’arte contemporanea tra il bretone autodidatta, che ha abbandonato la scuola a 16 anni perché odiava i diplomi e l’establishment, e il bravo studente del Polytéchnique cresciuto nel profondo nord. Di certo, Parigi e la Francia potranno solo giovarsene.

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