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Kohl il riformatore

Daniel Mosseri

Un vecchio deputato tedesco e amico personale ci racconta chi era davvero il grande cancelliere

Berlino. Ce lo ricordiamo istituzionale e massiccio nelle foto scattate accanto a leader meno corpulenti di lui come Margaret Thatcher, Michail Gorbaciov e François Mitterrand. Eppure anche l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl, morto ieri all’età di 87 anni, è stato giovane e, a modo suo, ribelle. Ricordato da tutti come il riunificatore della Germania, molto prima di allora Kohl è stato il più giovane primo ministro di un Land. A maggio del 1969, in piena contestazione, prese le redini della piccola Renania-Palatinato all’età di 39 anni, lasciando sbigottiti i compagni di partito con i capelli bianchi.

   

Pur lontano anni luce dal movimento studentesco – Kohl si era iscritto alla Cdu a 17 anni – il futuro cancelliere si rivelò un modernizzatore: abolì le punizioni corporali e le scuole parrocchiali, puntando invece su scuole pubbliche e democratiche, aperte ai bambini di ogni fede. La Cdu rispose bene alle novità in arrivo da Magonza e a novembre dello stesso anno il giovane premier statale fu eletto vicepresidente del partito a livello federale. Alla cancelleria a Bonn arriverà nel 1982, dopo infinite rivalità con i cristiano-sociali bavaresi di Franz Joseph Strauß. L’insuccesso di Strauß alle elezioni del 1980 contro il socialdemocratico Helmut Schmidt consacrerà Kohl leader dell’opposizione. Il 1° ottobre 1982, grazie al meccanismo della sfiducia costruttiva, Kohl strapperà i liberali dall’abbraccio con i socialdemocratici dando vita al suo primo governo federale.

  

La storia ha inserito l’ex cancelliere nel novero dei suoi grandi, eppure la carriera politica che lo porterà sul tetto d’Europa non è in discesa. Lo ricorda al Foglio Manfred Kolbe, deputato Cdu di lungo corso. “Veniva da un Land piccolo, era considerato un provinciale”. Il suo pragmatismo, poi, era visto come uno scudo per nascondere una scarsa preparazione intellettuale, prosegue Kolbe nel ricordare che a fargli ombra contribuiva anche la fama di economista del suo predecessore Schmidt.

   

Anche la stampa saprà essere molto dura con lui, e nel giorno dei coccodrilli l’ex direttore dello Spiegel, Stefan Aust, ha riconosciuto in tv che “spesso nelle nostre copertine contro di lui abbiamo perso il senso della misura”.

  

Preso in giro anche per la forma della sua testa – era chiamato “la pera” – “Kohl smentirà tutti i suoi critici, a partire dal piano economico: rimediò alla crisi finanziaria sfuggita di mano a Schmidt, portando la Germania molto solida all’appuntamento con la riunificazione e con i suoi costi”. Quanto alle accuse di non sapere guardare oltre all’orizzonte del Palatinato, Kolbe ricorda “le relazioni eccellenti con i presidenti americani e con Gorbaciov” coltivate da Kohl. Un processo lungo, come riconosciuto alla televisione tedesca dallo stesso ex leader sovietico: “All’inizio non eravamo amici per nulla”. Kohl conquistò Gorbaciov, “e non credo che la riunificazione sarebbe stata possibile senza la grande stima fra i due”, riprende Kolbe spiegando che Kohl “ non era un freddo, al contrario era un tipo che seminava fiducia. Chiunque avrebbe comprato una macchina usata da lui”. Ragion per cui gli elettori lo hanno premiato alle elezioni dal 1982 al 1994, ma soprattutto si sono affidati a lui “quando ha deciso di rinunciare al marco tedesco”.

   

La sua fine politica? Non aver dichiarato alcune donazioni al partito “fu un grave errore”, riconosce Kolbe. Un errore all’epoca rumorosamente strumentalizzato dal duo Schäuble-Merkel per fare fuori l’ingombrante cancelliere. Una mancanza di riconoscenza che Helmut Kohl non ha mai perdonato.

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