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Ma quale Rodman, ecco chi è il negoziatore che ha "liberato" Warmbier dalla Corea del nord

Giulia Pompili

L'ex campione dell’Nba era a Pyongyang per motivi personali. Dietro la “liberazione” dello studente dell’Università della Virginia c'è un nome noto negli Affari nordcoreano

Roma. Nella confusione con cui vengono accolte quasi tutte le notizie che arrivano dalla Corea del nord, la “liberazione” di Otto Warmbier, lo studente americano di ventidue anni rimpatriato ieri da Pyongyang, era stata ricondotta per qualche motivo all’arrivo nella capitale nordcoreana del campione dell’Nba Dennis Rodman. Quest’ultimo si era presentato all’aeroporto di Pyongyang con la maglietta della società che ha sponsorizzato il suo viaggio, la PotCoin, che promuove un’alternativa alla valuta corrente per acquistare la cannabis. Ma ieri la Casa Bianca aveva in tutti i modi sottolineato la natura personale del viaggio di Rodman, che vanta un “rapporto personale” con il leader Kim Jong-un. Eppure l’idea folle di un cestista che si improvvisa negoziatore aveva già fatto presa nell’immaginario collettivo, che sulla Corea del nord (e forse anche sulle decisioni di Donald Trump) non si stupisce più di nulla, complice una cattiva informazione, la propaganda, e la superficialità con cui vengono trattate alcune notizie.


Denis Rodman (foto LaPresse)


In effetti Rodman è arrivato nel paese soltanto poche ore prima che il dipartimento di Stato americano ufficializzasse il rimpatrio di Otto, ma è soltanto una coincidenza temporale. Dietro la “liberazione” (di nuovo, tra virgolette non a caso) dello studente dell’Università della Virginia, Otto Warmbier, c’è in realtà Joseph Yun, un nome noto negli Affari nordcoreani. Yun, sessantatrè anni, nato a Seul, è stato ambasciatore americano in Malaysia e vice assistente del segretario di Stato per gli Affari asiatici. Nell’ottobre del 2016 l’Amministrazione di Barack Obama lo nominò Special representative per la Corea del nord. E’ uno di quei negoziatori che lavorano nell’ombra, che viaggiano senza giornalisti al seguito e che decidono la politica più delle “big armada” inviate nelle acque intorno alla penisola.

 

Il 2 gennaio del 2016, Otto Warmbier era stato fermato all’aeroporto di Pyongyang mentre stava per imbarcarsi sul suo volo, dopo una settimana di turismo nella capitale nordcoreana per un viaggio organizzato dalla Young Pioneer Tours. Era stato accusato di “atti ostili” perché qualche sera prima aveva tentato di rubare un poster di propaganda allo Yanggakdo international hotel dove alloggiava insieme al resto del gruppo. Un mese dopo, durante una conferenza stampa surreale, aveva confessato di averlo fatto per una ricompensa. Il 16 marzo del 2016 il tribunale nordcoreano l’aveva condannato a 15 anni di lavori forzati. Ieri Otto è tornato a Cincinnati, ma non è potuto tornare a casa. Ci sono delle immagini riprese dalle agenzie di stampa che lo ritraggono trascinato fuori dall’aereo prima di essere ricoverato in ospedale. Warmbier è stato rimpatriato per motivi sanitari, infatti, e non “rilasciato”. Secondo le autorità nordcoreane, si troverebbe in stato comatoso già da un anno, e delle sue condizioni di salute Joseph Yun sarebbe stato informato soltanto durante l’incontro a New York con il diplomatico nordcoreano, per questo c’è stata un’accelerazione nelle procedure di rimpatrio. La versione di Pyongyang è questa: il detenuto ha avuto il botulinismo, e poi ha assunto un sonnifero dal quale non si è svegliato più. Ma le autorità mediche di Cincinnati dubitano che possa essere la causa del coma che si prolunga da più di un anno. Già nelle immagini riprese durante la lettura della sentenza, nel marzo del 2016, Warmbier non sembrava in grado di camminare da solo. Ieri sia il Washington Post sia il Wall Street Journal hanno pubblicato editoriali per sottolineare la gravità di una circostanza simile, e domandare se sia ancora il caso di permettere ai tour operator americani di proporre pacchetti in Corea del nord.

 

Joseph Yun, uomo sia di Obama sia di Tillerson, nell’aprile scorso era andato a Mosca per un incontro con il viceministro degli Esteri russo Igor Morgulov. Neanche tre settimane dopo era a Tokyo per un vertice trilaterale con gli omologhi giapponese e sudcoreano. Il punto di svolta nelle trattative sul rilascio di Warmbier, secondo le poche informazioni rilasciate dalla Casa Bianca, c’è stato il mese scorso, quando durante un incontro segreto a Oslo con rappresentanti nordcoreani, Yun ha chiesto ai diplomatici dell’ambasciata svedese presente a Pyongyang – quella che tecnicamente cura gli interessi americani in Corea del nord, perché Washington non ha rapporti diplomatici con il paese – di fare visita a tutti e quattro i cittadini americani attualmente detenuti dalle autorità nordcoreane. La scorsa settimana Yun era tornato a New York a incontrare l’ambasciatore nordcoreano alle Nazioni Unite, Kim In-ryong – uno che soltanto un paio di mesi fa aveva parlato di una “guerra termonucleare” contro l’America. Domenica scorsa il negoziatore era volato di persona a Pyongyang.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.