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Kim Jong-un vuole parlare, ecco perché spara i suoi missili

Giulia Pompili

Se a ogni test missilistico nordcoreano viene consegnato un messaggio provocatorio, un passo verso la negoziazione, in questo caso il destinatario del messaggio non era a Seul ma a Pechino

Roma. Ieri l’agenzia di stampa ufficiale nordcoreana, la Kcna, ha annunciato il successo del test missilistico di un Hwasong-12, effettuato nelle prime ore di domenica mattina. Il missile, lanciato da Kusong, una città a nord-ovest della penisola, avrebbe viaggiato per 787 chilometri e avrebbe raggiunto un’altitudine di 2.111 chilometri. Al test ha assistito anche il leader nordcoreano Kim Jong-un, e sebbene i dati sull’esperimento siano ancora oggetto di valutazione da parte degli analisti internazionali, secondo molte voci il missile potrebbe raggiungere una gittata di 4.500 chilometri, quindi il territorio americano dell’isola di Guam, quello giapponese e quello russo.

Il test è il settantaseiesimo da quando Kim Jong-un ha preso il potere a Pyongyang nel 2012, e un messaggio destabilizzante per le potenze che si muovono intorno alla Corea del nord. Anzitutto, ieri è stata la prima volta per Moon Jae-in, il nuovo presidente sudcoreano eletto il 9 maggio scorso dalla maggioranza dei sudcoreani. Moon è un democratico, e nella sua prima settimana da presidente ha già mostrato la volontà di cambiare la politica di Seul nei confronti della Corea del nord, da anni determinata dai conservatori al potere, dai falchi della “pazienza strategica” e delle sanzioni economiche. Per questo Moon Jae-in era il candidato preferito anche da Pyongyang, che aveva fatto sapere di preferire una politica della mano tesa e di un ritorno a un business as usual. Ma se a ogni test missilistico nordcoreano viene consegnato un messaggio provocatorio, un significato sotteso, un passo verso la negoziazione, forse, in questo caso, il destinatario del messaggio non era a Seul ma a Pechino.

 

Domenica mattina si è aperto il Belt and Road Forum cinese, fortemente voluto dal presidente Xi Jinping. Un summit che somiglia a un G20 ma a conduzione asiatica, per parlare del progetto della Via della Seta, la mastodontica operazione commerciale, infrastrutturale, e soprattutto di soft power cinese. Al vertice sul “progetto del secolo” , come l’ha definito Xi, hanno partecipato oltre cento paesi e oltre ventotto capi di stato, compreso il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni. Ma c’erano anche i leader di Spagna, Grecia, Svizzera, e quasi tutti quelli asiatici: Aung San Suu Kyi, Rodrigo Duterte, Jokowi. Unica grande assente l’India di Narendra Modi, che ha deciso di boicottare il summit per i problemi con il Pakistan e il rischio sulla “sovranità territoriale” che la nuova Via della Seta cinese pone a Nuova Delhi.

 

Xi, come ha scritto ieri in prima pagina il Wall Street Journal, sta mostrando la sua personale visione di un nuovo ordine mondiale a guida cinese, fatto di “dialogo senza scontri, di amicizie piuttosto che di alleanze”. Eppure la questione nordcoreana, e quindi quella della sicurezza, ha finito per rovinare la festa d’inaugurazione ai leader. Per il presidente russo Vladimir Putin è tempo che l’occidente smetta di minacciare la Corea del nord e inizi a parlarci. Messaggio soprattutto all’America, che lo scorso fine settimana per bocca del segretario di stato Rex Tillerson aveva assicurato, durante un’intervista a Fox, che la situazione era sotto controllo grazie all’accordo di Washington con Pechino – un accordo che suona più o meno così: se non fermate la Corea del nord voi, saremo costretti a intervenire militarmente oppure imponendo le cosiddette “sanzioni secondarie”, che toccherebbero anche gli interessi cinesi. Secondo Tillerson e, secondo alcune voci che circolano da qualche tempo tra gli esperti di questioni nordcoreane, i ripetuti messaggi della Cina alla Corea del nord avrebbero fermato il sesto test nucleare, che Pyongyang avrebbe voluto condurre alla fine di aprile. “Bisogna puntare sulla diplomazia e l’Italia ha un ruolo particolare essendo alla presidenza del comitato Onu per le sanzioni”, ha detto ieri Gentiloni da Pechino a Class Cnbc. “Non bisogna considerare queste cose come bizzarrie o stranezze locali: è un problema serio per la stabilità e la sicurezza globale”.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.