Donald Trump al Congresso Usa (foto LaPresse)

Il punto di rottura

Paola Peduzzi

Molti repubblicani iniziano a temere che l'appoggio a Trump costerà loro troppo caro

Milano. I repubblicani americani hanno raggiunto il “breaking point”, il punto di rottura, scrive Politico, raccogliendo l’insofferenza di deputati e senatori che non trovano più argomenti per sostenere il proprio realismo nei confronti della presidenza Trump. Ieri alcuni conduttori televisivi si lamentavano del fatto che non trovavano più repubblicani disposti ad andare a commentare in diretta quel che sta accadendo tra presidenza, Fbi e Russia, se non “i soliti critici”, che già da tempo sono freddi, per usare un eufemismo, nei confronti del loro presidente. Il calcolo repubblicano finora era stato semplice e in parte comprensibile – ci sono seggi da difendere, carriere da lanciare – anche se molti intellettuali conservatori ripetevano: pagherete caro questo appoggio sciagurato. Guardiamo al medio periodo ribattevano i politici, ci sono alcune misure che la Casa Bianca porterà avanti che vanno nella nostra direzione, la tempesta russa e quella sull’intelligence passeranno. Solo che non passano, anzi si complicano ogni giorno di più. Ieri è intervenuto Vladimir Putin, convitato di pietra di questa presidenza fin dal primo giorno (anche prima, anzi, soprattutto prima), dicendo di avere “le trascrizioni” di quel che è accaduto nel famigerato incontro tra Trump, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e l’ambasciatore russo a Washington Sergei Kislyak: tutto questo furore attorno alle informazioni sensibili che il presidente americano ha riferito ai russi è “una sciocchezza insensata”, sostiene il capo del Cremlino, aggiungendo che se la Casa Bianca lo vorrà mostrerà le prove alla commissione che indaga sui legami con la Russia dell’Amministrazione Trump. Trump ha confermato di aver dato informazioni d’intelligence ai russi – la fonte delle informazioni è Israele – e di averne tutto il diritto, e il capo del Cremlino vuole offrire una via di fuga da quest’ennesima impasse. Ma l’ombra russa che altera i rapporti diplomatici e strategici degli alleati dell’America, compromettendo la credibilità del presidente e la voglia di fidarsi degli altri paesi, non è destinata a dissolversi. E il punto politico per i repubblicani è proprio questo: fino a quando si può tollerare?

 

L’altro dossier aperto nelle ultime ore fornisce una risposta quasi immediata, che è: non si può più. James Comey, ex capo dell’Fbi licenziato la settimana scorsa, ha un memo in cui riporta quel che Trump gli ha detto in un incontro, che è sostanzialmente: lascia perdere con l’inchiesta sulle ingerenze russe, in particolare lascia stare Michael Flynn, ex capo del Consiglio per la sicurezza nazionale che si è dimesso proprio per i suoi rapporti con Mosca. I repubblicani non si capacitano del fatto che il prezzo della difesa di Flynn sia diventato così alto per tutti: si parla di impeachment, ma soprattutto si parla della incapacità del presidente di governare il paese (si è rivelato un bambino, ha ribadito il columnist conservatore Ross Douthat sul New York Times ieri: e non lo dico solo io, aggiunge, lo dicono anche quelli che più gli sono fedeli).

 

Il piano degli attendisti sta andando male, e il segnale più evidente l’ha fornito Jason Chaffetz, capo della commissione per la supervisione della Camera, che ha chiesto di avere tutti i memo di Comey entro mercoledì prossimo, mostrando una prontezza mai ravvisata finora. Ma Chaffetz non si ricandida alle elezioni, quindi per lui essere aggressivo è più semplice. Per gli altri invece il dilemma – che c’è dall’inizio, ma ora è più grave – è ogni giorno più opprimente: alcuni repubblicani hanno discusso la possibilità di nominare una commissione speciale o un procuratore per indagare sulle relazioni tra Trump e la Russia, ma ora la priorità è di “andare a fondo” sulla questione Comey, che sta aprendo “una guerra civile” nel cuore di Washington. I progetti di riforma – della sanità e del codice fiscale – si allontanano, e le chance per il 2018 si assottigliano. Alcuni repubblicani vogliono prendere pubblicamente le distanze da Trump. Douthat dice loro: siete ancora in tempo. Ma molti non ne sono più sicuri.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi