Trattato con puntualità ironica dal Financial Times, e malmenato da qualche evento, Trump ridiventa un'ipotesi utile

Giuliano Ferrara

Il presidente americano è circondato malissimo, ma nelle posizioni importanti dell’Amministrazione è arrivata, per suo merito e spirito di compromesso, gente seria e responsabile

The Donald si può trattare come spesso si fa qui, con intollerante sarcasmo per il cumulo abissale di pericolosi e infantili narcisismi che ha portato alla Casa Bianca. Oppure come ha fatto intervistandolo il Financial Times, con diplomazia e sottile ironia. Se dice che il deficit commerciale americano è di 800 miliardi, il giornale ricorda che le cifre parlano incontrovertibilmente di 500 miliardi di dollari. Se fa il bravo con loro, ricordano al lettore che spesso il tipo cerca di sedurti e altrettanto spesso di intimidirti. Definiscono il suo stile di comando via Twitter e Facebook, dopo aver riconosciuto che il suo talento è paragonabile a quello di Roosevelt con la radio e di Kennedy e Reagan con la televisione (ha 101 milioni di followers combinati sulle due piattaforme), “profondamente destabilizzante all’interno e all’estero”. Valutano con allarmato equilibrio le sue accuse incendiarie e false e i suoi peccadillos, suoi e del suo team, quelli scoperti e quelli ancora coperti. I suoi 100 giorni saranno marcati “dall’assenza di qualunque effettivo e importante successo” di governo, a meno, dicono che non riesca a salvare la riforma ora insabbiata della Sanità, magari, come accenna lui stesso, passando dalla trincea impossibile del Partito repubblicano, dove è stato umiliato, al deal con i democratici.

 

Tutto è esaminato in rassegna con benevolente ostentazione di buone intenzioni da parte di Lionel Barber e dei suoi, ma non c’è settore (Corea del nord e sicurezza internazionale, alleanze storiche, Messico, rapporti con Putin, economia e detassazione) in cui alla sua retorica ribalda vengano fatti sconti. E per concludere, siccome oltre che a Andrew Jackson il populista Trump si compiace di assomigliare a Teddy Roosevelt, quello dei primi del Novecento, il naturalista, il genio dell’Antitrust, gli ricordano che, certo, il grande Theodore Rex diceva che bisogna portare con sé un bastone per ottenere qualcosa nei deal, ma è bene “to speak softly”, parlare a voce bassa. Ci sarà sempre un problema di registro nel racconto di Trump presidente.

 

In lui c’è qualcosa di ignobile, di refrattario alla comune sensibilità delle persone che hanno la testa sulle spalle, ma anche un piccolo nucleo promettente, quello legato al pragmatismo newyorchese dell’uomo d’affari, dello spregiudicato che ha attraversato a tradimento molte posizioni culturali e politiche per pura autopromozione, si è realizzato nello showbiz più autocentrato, e ha fatto la campagna e la transizione più sporcificante della storia americana, però alla fine si ritrova nella posizione oggettivamente liberatoria di essere divenuto Re nel paese dei fantocci politicamente corretti. È circondato malissimo, ma nelle posizioni importanti dell’Amministrazione è arrivata, per suo merito e spirito di compromesso, gente seria e responsabile: uscito quel dissennato di Michael Flynn dal bouquet, e vedremo a che gran finale condurrà la sua testimonianza giurata sul Putingate, si può stare un po’ più tranquilli. Oltre tutto c’è l’eterogenesi dei fini.

 

L’eccezionalismo americano, al quale Trump e il suo Steve Bannon, quello che vuole “decostruire lo stato”, sembrano a tratti volersi sottrarre, è una forma di universalismo non giacobino, è connaturale a quel paese e alla sua storia, è nelle vene dell’America, è difficile che scompaia per un mandato popolare incidentale. Ora il presidente vedrà Xi Jinping tra le buche dorate del suo campo di golf a Mar-a-Lago, e nonostante tutto il suo bullismo, come si sta già vedendo a proposito dell’accordo commerciale Nafta e di tante altre cose, alla fine la logica delle alleanze e dell’economia mondializzata farà la sua parte.

 

La leggenda incandescente del trasferimento a Gerusalemme dell’ambasciata americana, come volevasi dimostrare, è già parzialmente in archivio, e la speranza è che anche le rogne addossate di malagrazia all’Europa e alla Nato configurino, per via di risposta, una ripresa di dignità e unità politica del nostro ambiente istituzionale dell’Unione, che per intanto ha riacquisito il diritto a essere lodata e rispettata da Trump in persona.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.