Olanda al voto, il leader del Pvv Geert Wilders al seggio

L'Olanda è dura sull'immigrazione perché ama la propria tolleranza e decadenza

Giulio Meotti

Altro che “tradimento di Erasmo”. Dal sindaco islamico di Rotterdam che manda “a farsi fottere” chi non si integra a Mark Rutte che mette al bando il burqa. Gli olandesi sono “hard liberal” figli di Fortuyn

Roma. Solo in Olanda trovi un sindaco musulmano a Rotterdam, Ahmed Aboutaleb, che dopo l’attentato a Charlie Hebdo rivolge alla comunità islamica parole inaudite: “Se proprio non ti piace la libertà, santo cielo, prendi le tue cose e vai via. Se non vuoi stare qui perché qualcuno pubblica su un piccolo giornale una cosa che non ti piace, dovresti ‘andare a farti fottere’. È stupido e incomprensibile. Puoi lasciare i Paesi Bassi se non te la senti casa tua o se non accetti la società che noi vogliamo costruire”. Parole che sono ricorse sulla bocca di tanti intellettuali islamici olandesi, dalla somala Ayaan Hirsi Ali all’iraniano Afhsin Ellian, che oggi vive sotto scorta a Leiden (è sotto scorta anche Aboutaleb).

  
Solo in Olanda è concepibile un politico come Geert Wilders, che da tredici anni, tredici, vive 24 ore su 24 sotto scorta, che tiene comizi col giubbotto antiproiettile, che ha una scorta che solo Pervez Musharraf, che ha vissuto in località segrete e che quando è morto il padre non ha potuto stare che un paio di minuti con i membri della sua famiglia. Al di là del risultato delle elezioni olandesi, un dato si conferma su tutti gli altri: il liberalismo olandese è diverso da tutti gli altri in Europa ed è tipico di questo piccolo popolo neutralista ma travagliato per secoli dalle invasioni, dove esigenze libertarie, moralismo e affarismo sono intrecciati.

   
In Olanda l’“apostata” Baruch Spinoza è diventato profeta di tolleranza, Karl Marx indagò lì le radici del capitalismo e in Olanda Locke mise mano alla sua “Lettera sulla tolleranza”. Sulla stampa europea si legge che l’ascesa di Wilders e i toni “neopopulisti” del premier liberale Mark Rutte (a gennaio ha detto agli immigrati di “essere normali o andarsene”) sarebbero un tradimento di questa tolleranza olandese. Tutto il contrario. È proprio da quella tolleranza che nasce l’oltranzismo olandese. Gli olandesi si sentono i “fondamentalisti dell’illuminismo”, per usare la brutta formula con cui Timothy Garton Ash attaccò Hirsi Ali. È una ventennale tradizione che risale a Pim Fortuyn, raggiante nel completo italiano e narcisistico all’eccesso, un omosessuale fiero della “decadenza” del proprio paese, delle sue libertà, che praticativa il dandismo, “dernier éclat de l’héroïsme dans la décadence”, come quanto vi sia di meglio nell’orgoglio umano. Come ha scritto Alexander Chancellor sul Guardian, “i fanatici musulmani rimproverano all’occidente la sua decadenza e molti in occidente sono d’accordo. Fortuyn non la pensava così. Condusse una crociata in nome di ciò che molti considerano come la ‘decadenza’ ed era preoccupato per la sua sopravvivenza. Ha sostenuto Israele contro i palestinesi e, a differenza di Le Pen o Haider, non è mai stato sospettato di antisemitismo. Era ingegnoso nel ritrarre il risentimento olandese verso gli immigrati come la prova della tolleranza di cui olandesi sono orgogliosi”.

  
Fortuyn era un “hard liberal” (nella militante difesa post 11 settembre dei migliori valori occidentali evoluti, nei confronti dell’intolleranza islamica) dallo stile crepuscolare aristocratico, umanamente e politicamente “queer”, che all’islam fondamentalista opponeva voglie e pochette e che considerava il permissivismo il cuore della cultura occidentale. Il dibattito sull’integrazione in Olanda è stato violato non da uno xenofobo di destra, ma da Paul Scheffer, che nel 2000, accademico e testa pensante del Partito laburista, scrisse un saggio capitale dal titolo “Il disastro multiculturale”. Sono stati i liberali di Mark Rutte, non Wilders, a mettere in pratica molte idee di Fortuyn, fino alla messa al bando del burqa, uno dei simboli della sottomissione della donna nell’islam. È durissimo con l’islam Frits Bolkestein, guru dei liberali per il quale Wilders è stato assistente e che ha ospitato Hirsi Ali. Quando sul quotidiano Volkskrant uscì il suo articolo sull’islam e l’immigrazione, all’epoca non si parlava di islam, stava cadendo l’Unione sovietica e l’economia olandese non era cresciuta tanto. Bolkestein, commissario europeo sotto Romano Prodi, disse ciò che in molti sapevano, ma che i bien-pensant liberali si rifiutavano di affermare in pubblico. Impensabile in altri paesi europei la reazione del premier Rutte all’ingerenza turca nella vita olandese, fino al bando di due ministri di Ankara.

 

Lars Rensmann, docente di Scienze politiche all’Università di Groningen, ha spiegato che il successo di Wilders non è legato ai “perdenti della globalizzazione”, i deplorevoli olandesi. Molti suoi elettori sono colti e di successo: “Wilders si è posto come il difensore del liberalismo”, da chi vuole distruggerlo, l’islam fondamentalista. Nozze gay, droghe, eutanasia, libertà civili: Wilders su questo sarebbe d’accordo con i liberal del Massachusetts. La famiglia di Theo van Gogh, ucciso da un fondamentalista islamico nel 2004, vanta dei Wilbaut, fra i fondatori della Resistenza antinazista. Uno zio di Van Gogh, anche lui di nome Theo, era stato un dirigente della fraternità studentesca che si rifiutò di aderire al nazismo. Aiutò molti ebrei a fuggire dal paese e fu fucilato nel 1945 fra le dune del mare del Nord.

 
Han ten Broeke, candidato a ministro degli Esteri nel prossimo governo Rutte, ha giustificato così il bando dei ministri turchi: “Erasmo venne in Olanda perché era un paradiso della libertà di pensiero”. Nella politica olandese si rimanda sempre alla tradizione libertaria e libertina anche nell’opposizione al multiculturalismo. Come scrive Foreign Policy questa settimana, “lo spirito erasmiano di tolleranza rimane molto forte nel nucleo dell’identità nazionale olandese, ma la presenza, in mezzo a loro, di un ‘altro’ non-europeo e spesso illiberale ha testato i limiti di quello spirito e ha convinto molti elettori che la ‘tolleranza’ è la via maestra al suicidio culturale”.

 
Ecco, i libertini, liberali e libertari olandesi non sembrano ancora disposti a suicidarsi, a differenza di certi liberal di là e di qua dell’oceano.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.