Il Sudafrica vuole bandire Shakespeare dalle scuole. Molto meglio i poeti zulù
Da Yale a Londra l'obiettivo è "decolonizzare la cultura occidentale" simbolo di una civiltà maledetta, imperialista, dominatrice, che aliena i suoi figli e sfrutta le sue minoranze
Roma. La cultura occidentale sembra essere diventata velenosa come la cicuta. La nuova parola d’ordine per guarirla è “decolonizzare”. Il multiculturalismo, con il suo odio per “l’uomo bianco, maschio, europeo, morto”, e un afrocentrismo che ricalca l’eurocentrismo di un tempo, rovesciandolo, ha trasformato la cultura occidentale nel simbolo di una civiltà maledetta, destinata a scomparire, malata e infame a un tempo, ricca fino alla sazietà, imperialista, dominatrice, insolente, inquinante, che aliena i suoi figli e sfrutta le sue minoranze. Da qui l’idea di imporre una quarantena ideologica sulla cultura occidentale.
Il Sudafrica, scrive il Times di Londra, si appresta così a eliminare lo studio di William Shakespeare dal curriculum scolastico. Il ministro dell’Istruzione, Angie Motshekga, ha detto che sostituirà il Bardo con i poeti africani. “La considerazione delle opere di Shakespeare è un aspetto del processo di complessiva revisione della letteratura”, ha detto Motshekga in risposta a un’interrogazione parlamentare. Vasto programma.
La “decolonizzazione” della cultura occidentale è nata a Londra. L’unione degli studenti della Soas, la prestigiosa Scuola di studi orientali della capitale inglese, hanno appena chiesto di rimuovere dal curriculum Platone, Kant, Cartesio, Hegel e altri nomi da poco della cultura occidentale, in quanto sono tutti bianchi, quindi esponenti del colonialismo che andrebbe subito espulso dalle istituzioni accademiche. “Se è proprio necessario dover studiare filosofi bianchi, ebbene si insegni agli studenti a guardare ai loro lavori in maniera critica e magari rapportare i loro studi alla loro posizione sul colonialismo”, recita la mozione in discussione all’università londinese.
Lo scorso maggio, due filosofi scrissero per il New York Times un editoriale sposando l’idea: “Se la filosofia non si diversifica, chiamiamola per nome”. All’Università di Yale, il corpo studentesco ha lanciato una petizione per chiedere al dipartimento di Letteratura di “decolonizzare” il corso di studi, eliminando Chaucer, Shakespeare e Milton, dicendo che “è inaccettabile che a Yale si studino soltanto autori maschi e bianchi”. Scende Alexander Pope e sale Stefani Germanotta, alias Lady Gaga, su cui adesso si tengono corsi accademici importanti.
L’Università di Stanford ha invece rigettato la richiesta di un gruppo studentesco di mantenere il corso di “cultura occidentale”. Ancora nel 1970, dieci dei cinquanta college principali d’America avevano un corso obbligatorio di “civiltà occidentale”, mentre 31 di loro offrivano il corso agli studenti se avessero voluto sceglierlo.
Oggi, secondo un rapporto dal titolo “The Vanishing West” della National Association of Teachers, nessuna università americana offre più simili corsi. Soltanto quattro delle 52 principali università d’America continuano invece a offrire Shakespeare nel curriculum. In Inghilterra, l’Università di Oxford, sopravvissuta all’abbattimento della statua di Cecil Rhodes, ha annunciato di aver iniziato una “revisione” dei suoi corsi di studi per includere maggiore “diversità”. Si tratta di ridurre o eliminare i “Racconti di Canterbury”, così bianchi e così cristiani, per fare posto alla poesia zulù.
“Shakespeare era razzista?”, si chiede un articolo pubblicato sul sito web delle edizioni di Oxford a firma di Gary Taylor, direttore del New Oxford Shakespeare, che pubblica l’opera omnia del Bardo. Come ha scritto Pascal Bruckner nel “Singhiozzo dell’uomo bianco”, “una scorza di zen, due pizzichi di taoismo, una fettina d’impero inca, un po’ di ‘Libro dei Morti tibetano’, due cucchiaiate di socialismo tanzaniano, una bella tazza di rivoluzione culturale cinese, una fetta di sciismo iraniano, fate bollire pian piano, e la pozione della salvezza magica è pronta”. Non è forse più saporita dello stantio canone occidentale?
Intervista a Gabriele Lavia