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Ma quale declino. Perché l'America resterà la prima potenza del mondo, nonostante Trump

Gabriele Carrer

Cultura, università e potere economico e militare. Le cassandre del declinismo sono americane come la torta di mele, ma sbagliano tutto. Parla Josef Joffe.

L’America in declino è il mantra che ha accompagnato il dibattito statunitense per tutto l’arco delle elezioni presidenziali, così come accade ormai da oltre sessant’anni. Crisi economica, ritiro dallo scenario globale ed imbarbarimento culturale, ogni quattro anni assistiamo allo stesso teatrino: gli Stati Uniti d’America sono in difficoltà, invischiati in una crisi nera e irreversibile che finirà per produrre nuovi poveri e spaccare il paese, favorire i suoi avversari internazionali e far tornare i tempi bui su università, giornali e vita civile. E ora che a conquistare la Casa Bianca è stato Donald Trump, il declinismo americano ha raggiunto vette mai toccate prima d’ora.

“Il declinismo è americano come la torta di mele”, commenta al Foglio Josef Joffe, editore e direttore del settimanale tedesco Die Zelt, in edicola la settimana dopo le elezioni con una Statua della Libertà affranta ed avvolta nella bandiera a stelle e strisce: “OH MY GOD” il titolo. Nel suo editoriale Joffe definisce Trump un “horrorclown” ma è certo che l’America non fallirà. Si dice sì preoccupato dall’imprevedibilità del presidente eletto ma anche fiducioso nella Costituzione americana.

Joffe, visiting fellow della Hoover Institution all’Università di Stanford e fondatore assieme al politologo Francis Fukuyama del bimestrale American Interest, ha pubblicato a fine 2013 un volume sui miti del declinismo americano, tradotto in italiano l’anno successivo in “Perché l’America non fallirà. Politica, economia e mezzo secolo di false profezie”. Un testo dedicato allo studioso Samuel Huntington – “maestro, amico e gigante tra i suoi pari” scrive Joffe –, teorico dello scontro delle civiltà dopo il crollo dell’Unione sovietica. “In ogni elezione dal 1950, i candidati presidenziali hanno invocato il declino degli Stati Uniti. I sovietici, i giapponesi, i cinesi avrebbero dovuto superare l’America. E’ stato certamente un punto utile per la campagna elettorale, ma non c’è alcun riscontro sulla realtà economica e strategica”, commenta al Foglio. Secondo Joffe infatti l’America non è in declino: “E’ un'economia in piena occupazione che continua a inventare gli strumenti della vita moderna: Google, Facebook, l’automobile che si guida da sola, l'iPhone. Anche se in molti hanno provato a copiare la Silicon Valley”. Si tratta di quel capitale di tecnologia e innovazione che combinato con il capitale economico e intellettuale rende gli Stati Uniti ancora inarrivabili anche per quel gigante economico che viene raccontato come sempre pronto al sorpasso: la Cina, avversaria degli Stati Uniti nel declinismo 5.0.

L’America non fallirà non solo perché continua ad aver la più grande economia del mondo per distacco ma anche grazie a quello che Joffe definisce il “potere di oggi e domani”: l’istruzione. Università come Stanford e Harvard sono eccellenze ineguagliabili, centri della libertà di discussione, informazione e indagine, campi in cui la Cina non è proprio all’avanguardia. Poi c’è lo stile di vita americano che avanza nel mondo, simbolo di una cultura apprezzata, inseguita e spesso copiata da molti: “Tutti guardano agli Stati Uniti per la moda, gli orologi, la musica, il fast food. E l’inglese con accento americano è diventato la lingua del mondo”, sottolinea Joffe. “L’America di Obama ha cambiato approccio, votandosi al self-containment. Ma auto-contenimento non significa necessariamente declino”.

Joffe rassicura che si tratta di una “una fase di transizione politica che non abbatterà la superpotenza americana”, non ci sono basi per le ennesime profezie declinistiche: gli Stati Uniti continueranno a essere “irraggiungibili” in istruzione, cultura ed economia.

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