Combattimenti delle forze libiche contro lo Stato islamico presso Sirte (foto LaPresse)

Quanto sarà alto il rischio per i soldati italiani in Libia?

Daniele Raineri
Gli attacchi dello Stato islamico potrebbero sfruttare il mancato coordinamento con i libici e utilizzare uniformi e documenti locali. Oltre agli islamisti, il pericolo potrebbe venire dalla turbolenza politica nell’est, con la guerra civile strisciante del generale Haftar

Roma. L’invio di soldati italiani in Libia pone un problema di sicurezza perché il paese è infestato dallo Stato islamico e perché attraversa una crisi militare e politica. Ieri il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha specificato meglio alcuni dettagli dell’operazione – chiamata “Ippocrate”, per sottolinearne la natura di assistenza medica – e ha detto che l’ospedale da campo chiesto dal governo di Tripoli sarà operativo nella città di Misurata tra circa tre settimane. Lo staff italiano sarà composto da 65 persone, tra dottori e infermieri, più 135 militari di appoggio e cento paracadutisti per garantire la protezione. Pinotti ha anche detto che ci sarà una nave della Marina davanti alla costa della città per offrire rinforzi in caso di bisogno.

 

La Libia è dalla fine del 2014 una colonia dello Stato islamico, che di certo prenderà in considerazione un attentato contro gli italiani perché è nella sua natura aggredire i militari stranieri. La propaganda del gruppo estremista considera gli italiani come salibiyin, vale a dire “crociati”, quindi un bersaglio più prestigioso dei semplici combattenti libici. L’ideologia dello Stato islamico vede la missione italiana come un’intromissione intollerabile a favore del governo di Tripoli che, poiché non amministra secondo la legge di Dio, è un governo di apostati e quindi merita la morte – e per proprietà transitiva la merita anche chi lo appoggia. La presenza dei soldati italiani è un incentivo per le reclute e un motivo di richiamo per i fanatici sparpagliati nei paesi del nord Africa che sognano il jihad a occhi aperti e talvolta vi si uniscono. In breve: lo Stato islamico nella sua propaganda parla delle città italiane come di un obbiettivo anche a causa dell’appoggio al governo di Fayez al Serraj, a maggior ragione lo saranno i soldati in Libia (nota: “anche a causa dell’appoggio”, perché tanto in ogni caso Roma è un obbiettivo dichiarato dell’espansione dello Stato islamico).

 

Detto questo, Misurata è in questo momento una dei posti più sicuri della Libia, perché è una città-stato che provvede da sé alla sua sicurezza e in cui l’intelligence locale fa un lavoro capillare di sorveglianza. Fonti dell’intelligence locale nei mesi scorsi hanno detto al Foglio che è stato fatto un lavoro di “bonifica” preventiva tra i possibili sostenitori del gruppo islamista, anche se – stimano le fonti – in città c’è comunque “fino a un dieci per cento di simpatizzanti dello Stato islamico che tiene un profilo molto discreto per non farsi beccare”. Nell’ultimo anno non ci sono stati attentati significativi dentro Misurata e tutti gli attacchi con autobomba sono arrivati al massimo ai checkpoint esterni. L’unico attentato degno di nota all’interno del perimetro cittadino è avvenuto il 9 luglio 2015, quando un ufficiale dei servizi segreti è stato ucciso all’uscita da una moschea da una bomba che era stata piazzata dentro la sua auto parcheggiata.

 

Lo Stato islamico ha colpito sulla striscia di costa che sta tra la capitale Tripoli e Misurata, per esempio il 24 novembre 2015 a Khoms (cinque soldati morti a un posto di blocco), e sulla strada che da Misurata porta verso sud, verso Bani Walid ( (sei morti il 5 aprile 2015). A maggio di quest’anno lo Stato islamico ha compiuto un capolavoro tattico e ha conquistato il checkpoint di Abu Ghrein, novanta chilometri a est di Misurata: centinaia di guerriglieri si sono materializzati di colpo dal deserto, eludendo la sorveglianza dell’intelligence. Ma è difficile che ripetano il colpo, perché ora non dispongono più della loro base a Sirte. Il 7 gennaio lo Stato islamico ha compiuto il suo attacco più efficace a Zliten, a mezz’ora da Misurata, facendo passare una finta autocisterna d’acqua riempita di esplosivo oltre i cancelli di un’accademia di polizia che aveva appena arruolato decine di reclute: più di ottanta morti. Questo è il genere di attacchi da cui si devono guardare i soldati italiani, eseguiti grazie a piani ingannevoli che potrebbero fare affidamento sulla mancanza di coordinamento con i libici, come per esempio, attentatori con divise e documenti locali.

 

La missione Ippocrate si svolgerà dentro il perimetro dell’aeroporto di Misurata, che è la zona più protetta della città. Si tratta di un terreno smisurato e cintato, che comprende l’aeroporto militare, la prigione di massima sicurezza, l’accademia dell’aeronautica e altri edifici in cui con molta discrezione alloggiano da mesi i contingenti delle forze speciali occidentali che aiutano i misuratini, inclusi gli americani, gli inglesi e gli italiani. E’ una zona chiusa al pubblico ed è una scelta naturale per la nuova missione italiana. Il ministro Pinotti ha detto che sulla vicina pista ci sarà sempre un aereo pronto al decollo per l’evacuazione di parte del personale.

 

Fino a poco tempo fa lo Stato islamico controllava una parte ben definita del territorio libico corrispondente a un tratto di costa lungo centinaia di chilometri, ma adesso ha perso anche la sua capitale di fatto, Sirte. I gruppi rivali che si rifanno all’ideologia di al Qaida orbitano soprattutto nell’est, vicino alla città di Derna. Le fazioni libiche più pericolose sono state affrontate e sconfitte da campagne militari violente nei mesi scorsi, ma non per questo si può dire che si siano dissolte nel nulla: sono semplicemente nascoste e sparpagliate per tutto il paese, in attesa di riorganizzarsi e di colpire di nuovo.

 

Oltre che dallo Stato islamico, il pericolo nei prossimi mesi potrebe venire dallo stato di turbolenza che la Libia sta attraversando. In questi giorni, i soldati del generale Khalifa Haftar che controllano l’est del paese stanno occupando con un’operazione militare i terminal del greggio nel golfo di Sidra, e questo potrebbe portare a un nuovo round di guerra civile. Se così fosse, la missione italiana pensata per appoggiare il governo di Tripoli contro gli estremisti si scoprirebbe nella città, Misurata, che ricambia con più ardore l’odio di Haftar. E’ uno scenario ancora lontano, ma in caso di guerra civile ci saranno da contare altri fattori di preoccupazione: uno è che entrambe le parti dispongono di aerei da guerra e l’aeroporto di Misurata, sede dell’aviazione dell’ovest, è un bersaglio naturale.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)