Siria: l'esercito sgombera Daraya, sobborgo di Damasco (foto LaPresse)

Per uscire dalla guerra in Siria serve un modello Balcani

Bret Stephens
L’accordo America-Russia questa volta funzionerà o è destinato a naufragare? Esiste una chance di sbrogliare la situazione in Siria? Un manipolo di esperti ci risponde.

A oggi, ci sono state 17 iniziative di pace per la Siria in meno di cinque anni. Il risultato è quasi cinque milioni di rifugiati, circa otto milioni di profughi interni e 400 mila morti. Perché il presidente Barack Obama pensa che un nuovo accordo per il cessate il fuoco dovrebbe riuscire dove tutti i precedenti hanno fallito? La mia idea è che non ci riuscirà, ma ancora una volta un gesto diplomatico è tutto quello che ti resta quando hai abbandonato la possibilità di usare la leva militare. Barack Obama lascerà la Casa Bianca tra pochi mesi, e la nuova Amministrazione avrà bisogno di una propria politica siriana. Il primo e fondamentale passo sarà rinunciare al “principio fondamentale” espresso l’anno scorso dal segretario di stato John Kerry e dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che “la Siria dovrebbe essere un paese unito”.

 

La guerra in Siria è un affare complesso, che coinvolge quattro stati stranieri – la Russia, l’Iran, la Turchia e gli Stati Uniti – e almeno cinque grandi milizie non statali oltre al regime di Assad. Ma la guerra, alla radice, è uno scontro per il potere a somma zero. O Assad vince tutto o lo fanno i suoi oppositori. Il contrario di una vittoria assoluta in Siria è l’annichilimento assoluto. Come andare oltre la logica del mors tua vita mea? L’opzione migliore è dividere il paese. L’idea non è nuova, e i critici dicono che piani di divisione hanno già fallito, che tracciare i confini è un disastro, che i nuovi confini non risolveranno per forza le rivalità interne e anzi potrebbero aggravarle. Il punto della divisione non è risolvere tutti i problemi della Siria. E’ ridurli a dimensioni gestibili. Un futuro stato alawita lungo la costa mediterranea della Siria potrebbe assicurare la sopravvivenza politica della dinastia Assad. Ma potrebbe essere una patria etnica sicura se ha le garanzie di sicurezza dei russi. Una zona curda, unita al Kurdistan iracheno, sarebbe vista come una minaccia dai turchi. Ma potrebbe essere un rifugio per i civili se difeso dall’aeronautica americana.

 

Per quanto riguarda il resto della Siria, la pacificazione richiederebbe un intervento limitato ma deciso della Nato per cacciare lo Stato islamico dalle sue roccheforti, equipaggiare e aiutare l’Esercito libero siriano così da togliere l’assedio di Aleppo e marciare su Damasco, e unirsi all’Arabia Saudita, all’Egitto e agli Emirati Arabi Uniti per installare una forza di stabilizzazione araba a lungo termine. Nel 1990 il mondo era alle prese con una spirale d’orrore nei Balcani. Gli Stati Uniti intervennero con la forza militare e gli alleati locali per ottenere dei risultati politici decisivi. Quella che un tempo era la Yugoslavia erano diventati sette stati separati. Il successo della politica estera di Clinton potrebbe essere il modello per il suo successore.


Bret Stephens è columnist del Wall Street Journal


(estratto dell’articolo “The Only Syrian Solution”, apparso sul Wall Street Journal il 5 settembre)

 

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