Grecia, migranti al Pireo (foto LaPresse)

Ankara riapre il rubinetto dei migranti dopo le tensioni con l'Ue

Enrico Cicchetti
I primi dati dicono che l'accordo sui rimpatri con l'Ue non sta funzionando: il flusso migratorio è aumentato del 76 per cento rispetto al mese scorso. E i Balcani e l'Europa orientale potenziano i muri e i controlli alle frontiere.

Roma. “I giorni dell’immigrazione irregolare in Europa sono finiti”, aveva detto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, il 18 marzo scorso dopo l’accordo tra l’Unione europea e l’allora premier turco, Ahmed Davutoglu, che si era impegnato a riprendersi tutti i migranti sbarcati illegalmente sulle isole greche. In cambio la Turchia aveva ottenuto tre miliardi di euro di aiuti, la promessa che l’Ue accogliesse poi un certo numero di persone con il diritto d’asilo e infine l’accordo implicito a riaprire pienamente il negoziato sul futuro ingresso nell’Unione.

 

Tuttavia le controversie tra Ankara e Bruxelles, in seguito al fallito golpe del 15 luglio scorso, hanno rimesso l’intesa sui migranti in discussione. Il presidente turco Erdogan, nel pieno della stretta autoritaria per punire i presunti golpisti, ha sostenuto di essere pronto a reintrodurre la pena di morte se il popolo e il Parlamento lo vorranno. Non solo: ha fatto sapere di non essere disposto al momento a rivedere la legislazione domestica anti terrorismo, giudicata troppo coercitiva da Bruxelles. Se a fronte di tutto ciò la Commissione europea non dovesse concedere la promessa liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, Ankara ha minacciato la denuncia dell’accordo di marzo sui migranti. E qualcosa in questa direzione sta già accadendo. Come dimostrano i primi dati ufficiali, il flusso di migranti provenienti dalla Turchia e diretti verso le isole greche sta lentamente riprendendo, ed è aumentato del 76 per cento rispetto al periodo precedente al fallito golpe in Turchia. Il numero dei richiedenti asilo bloccati provenienti dalle coste turche verso le isole del mar Egeo ha superato quota diecimila, mentre i migranti identificati e registrati in Grecia sono in tutto 57.098, secondo il Comitato locale per la gestione della crisi dei rifugiati. Tra questi più di 7.600 soggiornano in locali affittati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, altri 3.000 circa in strutture non organizzate e si stima che siano più di 2.300 i migranti che vivono al di fuori di qualsiasi struttura ufficiale. Per il momento, le autorità greche hanno intenzione di trasferire i rifugiati e i migranti bloccati sulle isole del mar Egeo nella Grecia continentale. Molti di loro attendono in campi d’accoglienza congestionati per le lunghe pratiche burocratiche previste per la revisione della domanda di asilo.

 



Ungheria, barriera di filo spinato contro i migranti (foto LaPresse)


 

Temendo un nuovo afflusso di rifugiati nel caso in cui Ankara annullasse l’accordo con l’Unione europea, anche i paesi balcanici e dell’Europa orientale si stanno organizzando. La Bulgaria innalza una nuova recinzione di 30 chilometri di lunghezza al confine con Grecia e Turchia. Sofia ha ricevuto 6 milioni di euro da Bruxelles per la gestione dell’emergenza migranti. La preoccupazione è che la chiusura del confine tra Grecia e Macedonia possa spingere i migranti proprio verso la Bulgaria. L’ex paese comunista cerca di mantenere relazioni di buon vicinato con la Turchia, anche a causa della minoranza turca molto nutrita residente nel paese. “La sfida – ha spiegato il primo ministro di Sofia, Boyko Borisov – non è solo mantenere aperto il canale di comunicazione con Ankara, ma anche garantire che la Turchia non permetta il libero passaggio dei rifugiati”.

 

Mentre i funzionari bulgari arrestano ogni giorno tra i 150 e i 200 rifugiati che poi vengono rimandati in Turchia, anche l’Ungheria prevede di nominare circa 3.000 nuovi agenti di polizia per gestire la pressione migratoria al suo confine meridionale con la Croazia e la Serbia. A ottobre nel paese si terrà un referendum per decidere se rispettare o meno i piani di delocalizzazione dei migranti imposti dall’Ue.