Manifestazione a Istanbul dei sostenitori di Erdogan (foto LaPresse)

Da un lato la Turchia, dall'altro l'occidente

Redazione
Moniti alla Nato, cronisti imprigionati: le divisioni vanno oltre la politica

Il segretario generale della Nato aveva appena finito di calmare le acque che già la Turchia tornava a ravvivare la polemica. Mercoledì Jens Stoltenberg, attraverso un portavoce, aveva rassicurato tutti sul fatto che, nonostante l’intesa apparentemente ritrovata tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il suo collega russo Vladimir Putin nella visita di San Pietroburgo, la partecipazione di Ankara all’Alleanza atlantica “non era in discussione”. Eppure ieri il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Cavusoglu, già ritrattava, dicendo che la Turchia potrebbe cercare nuove opzioni fuori dalla Nato nella cooperazione sulla difesa (la Nato resta la prima opzione, ha aggiunto), e che Ankara potrebbe iniziare operazioni militari congiunte con la Russia contro lo Stato islamico in Siria. L’allontanamento tra la Turchia di Erdogan e l’occidente, in particolare gli Stati Uniti, è questione nota da tempo che è tornata a essere urgente, lo sappiamo, dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio.

 

Le relazioni tra Turchia e occidente sono ai minimi storici, Ankara condivide con noi sempre meno interessi strategici e le purghe che sono seguite al fallito golpe non hanno fatto che ampliare il divario. Ma come hanno ricordato Steven Cook e Michael Koplow sul Wall Street Journal di ieri, non è solo una questione meramente politica a dividerci da Ankara. E’ chiaro ormai che Turchia e occidente condividono sempre meno valori fondamentali. Lo certifica anche Reporter senza frontiere, che ieri ricordava come gli arresti, i licenziamenti e gli abusi su centinaia di giornalisti dopo il golpe rafforzino la posizione della Turchia come “leader mondiale” in quanto a giornalisti finiti in prigione per il loro lavoro.

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