Musulmani in preghiera (foto LaPresse)

Educazione degli imam e terrorismo. Vacilla l'asse Berlino-Ankara

Daniel Mosseri
Erdogan svuota le carceri per riempirle di presunti golpisti. In Germania scoppia il bubbone dell’educazione à la turca

Berlino. Ieri il ministero degli Esteri turco ha risposto duramente alle notizie giunte dalla Germania, dove l’emittente pubblica Ard aveva diffuso la notizia secondo cui lo stesso governo di Berlino, in un suo report confidenziale, avrebbe giudicato la Turchia come una importante piattaforma jihadista nel medioriente. Nel rapporto si legge che la politica filo-Hamas e filo opposizione islamica in Siria perseguita dal presidente turco Erdogan “mette in rilievo la sua affinità ideologica con i Fratelli musulmani” e ha fatto sì che la Turchia sia diventata “una piattaforma di azione centrale per i raggruppamenti islamisti”. Per Ankara, che ieri nel frattempo faceva uscire dalle carceri migliaia di criminali comuni per fare posto ai presunti golpisti dello scorso 15 luglio, si tratterebbe della “ennesima distorsione della realtà”, il cui obiettivo sarebbe quello di “indebolire il paese attaccando il governo”.

 

Per la Germania, però, la tensione sulla direttrice con la Turchia si fa persino maggiore. In questi giorni, secondo alcuni esponenti dell’establishment, si tratta di decidere se dell’educazione religiosa del 70 per cento dei musulmani tedeschi debba farsi carico il governo di Ankara o quello di Berlino. A occuparsi della formazione, dell’invio e del sostentamento di quasi mille imam attivi in 900 moschee in Germania oggi provvede l’Unione turco-islamica per gli affari religiosi (Ditib), braccio tedesco della Presidenza per gli affari religiosi (Diyanet) del governo turco. Fondata nel 1984 e basata a Colonia, la Ditib usa denaro pubblico turco per inviare in Germania predicatori formati all’ombra del Topkapi e spesso privi di rudimenti della lingua di Goethe. “Nel giro di dieci anni la metà dei nostri imam avrà studiato in Germania”, ha dichiarato pochi giorni fa il portavoce della Ditib, Zekeriya Altug, annunciando l’intenzione tagliare i legami con Ankara. “Sul lungo periodo dovremo guardarci intorno per trovare nuove fonti di finanziamento”. Traduzione: non abbiate paura di noi, ci stiamo allontanando da Erdogan.

 

Parole necessarie dopo la manifestazione dello scorso 31 luglio con cui oltre 30 mila turchi tedeschi hanno dimostrato solidarietà al sultano minacciato dal golpe, detto sì alla normalizzazione messa in atto dal suo governo e gridato slogan a favore della pena di morte per i traditori dello stato. Troppo anche per i tolleranti tedeschi che, negli ultimi 32 anni, hanno delegato la formazione religiosa dell’imponente minoranza turca – fra i 3 e i 4 milioni di persone – allo stesso governo di Ankara. Il gioco ha funzionato con la Turchia laica e kemalista, ma la virata islamica e autoritaria di Erdogan ha obbligato i tedeschi a una riflessione. Sostituire o controllare i 970 imam targati Ditib richiederà molto tempo: nel frattempo i Länder si stanno attivando per allontanare il braccio tedesco della Diyanet dalle scuole pubbliche. Perché anche molti insegnanti di religione islamica sono cortesemente forniti dall’Unione turco-islamica: succede per esempio in Renania-Palatinato, dove il governo statale rosso-verde ha appena congelato un progetto di cooperazione con Ditib, esprimendo dubbi sulla sua neutralità politica. “Non vogliamo che Erdogan decida insieme a noi il contenuto delle lezioni di religione”, ha incalzato la vicepresidente federale della Cdu, Julia Klöckner.

 

E pensare che fino a poche settimane la stessa organizzazione puntava a ottenere lo status di “comunità religiosa” per godere dei benefici già riconosciuti alle Chiese cattolica ed evangelica. “Gli eventi in Turchia gettano una nuova luce sul processo di riconoscimento delle associazioni islamiche”, ha sentenziato Hannelore Kraft, premier socialdemocratica del Nord Reno-Wesftalia, il Land più popoloso e quello con più immigrati di origine turca. Berlino insomma si sforza di convogliare un’immagine positiva del governo turco, ma sia le informazioni confidenziali sia le rimostranze dei governi locali che festiscono l’integrazione più da vicino dicono tutt’altro.

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