Immigrazione, sbarco ad Augusta del 30 giugno 2016 (foto LaPresse)

Accogliere tutti non si può. Idee per “selezionare” e rallentare l'immigrazione in Italia

Roberto Volpi
L’arrivo di stranieri negli ultimi vent’anni non ha risolto il problema demografico ma ha cambiato la popolazione.

Nel 2015 sono stati concessi dallo stato italiano oltre 178 mila riconoscimenti di cittadinanza a cittadini stranieri. Nel 2014 la cifra delle concessioni di cittadinanza aveva mancato di poco le 100 mila unità. Un balzo, in un anno, di 80 mila unità e dell’80 per cento. Non si è trattato del primo balzo in avanti delle concessioni di cittadinanza italiana, dal momento che appena una dozzina di anni fa stazionavano tra le 10 e le 20 mila all’anno, ma certamente il più grande e quello che meglio testimonia come questa componente della popolazione italiana, marginale fino a pochi anni fa, stia superando il muro di ogni previsione. Quando diciamo che gli stranieri che risiedono regolarmente in Italia hanno smesso di crescere o, quantomeno, che non aumentano più come facevano fino a cinque-sei anni fa, dovremmo ricordare che però proprio da allora sempre più stranieri acquisiscono la cittadinanza italiana. Così come dovremmo ricordare che si vanno cumulando nella popolazione italiana matrimoni misti tra italiani e stranieri e altresì le nascite che da questi matrimoni derivano. La cifra di poco più di 5 milioni di stranieri residenti regolarmente in Italia, insomma, non rende giustizia a quel che sta avvenendo, che è già avvenuto, e che ancora avverrà nella popolazione italiana sia in relazione al reale peso quantitativo in essa assunto dai cittadini provenienti da altri paesi sia in relazione al processo di differenziazione etnica e di nazionalità, e altresì a quello di meticciamento, che la sta investendo.

 

Ci sono due modi di guardare all’immigrazione che non confliggono tra di loro: si può essere, cioè, contrari a un’immigrazione pressoché incontrollata e indiscriminata, e a favore di una immigrazione con le caratteristiche esattamente opposte, e al tempo stesso appoggiare ogni sforzo fatto per salvare, accudire, dare assistenza a tutti gli immigrati che per tante strade arrivano a noi dagli scenari di guerra, dai paesi di povertà e illibertà. Ciò detto, la conclusione che sembra imporsi è questa: l’immigrazione sta diventando un gioco in perdita per tutti. Per i paesi d’emigrazione perché costa vite, vite perse proprio come in guerra, e sottrae loro le energie più vitali e intraprendenti. Pe quelli, come il nostro, d’immigrazione, per due aspetti fondamentali.

 

Primo aspetto. Ormai dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti il fallimento delle politiche d’immigrazione per quanto riguarda l’apporto alla natalità ch’esse avrebbero dovuto assicurare a popolazioni europee dalla fecondità deficitaria. La Germania, il paese che più ha inglobato cittadini di altre provenienze, turchi e mediorientali in particolarissimo modo, non ha fatto che vedere il suo indice di natalità inabissarsi, il tasso di fecondità calare nonostante tutte le provvidenze, le facilitazioni, i vantaggi concessi alle donne e alle coppie che intendono fare figli. E che dire dell’Italia? In qualcosa come quindici anni i residenti stranieri sono quasi quadruplicati, passando da 1,3 a oltre 5 milioni, ma ciò non ha impedito al quoziente di natalità italiano di perdere nel frattempo il 20 per cento del suo ammontare e alle nascite di sprofondare a quote da tramonto demografico. Non è colpa degli immigrati se le cose sono andate così, in Germania come in Italia, però è un fatto che all’esplosione quantitativa degli stranieri non ha corrisposto un innalzamento di natalità e fecondità, se non di brevissimo momento, cosicché l’invecchiamento delle rispettive popolazioni è continuato ad ancora maggiore velocità. La fecondità delle donne straniere è scivolata in un amen sotto la soglia di sostituzione dei due figli, cosicché sono diventate a loro volta parte più che non soluzione del problema. Nel frattempo le donne autoctone, convinte di avere una possibilità di sostituzione nelle donne immigrate, e margini aggiuntivi di fecondità nella procreazione medicalmente assistita, hanno coi loro partner spinto sempre di più i progetti riproduttivi ai margini estremi della loro vita feconda. Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

 

Secondo aspetto. Se la forte immigrazione degli ultimi vent’anni non ha apportato reali vantaggi in termini di fecondità e nascite, considerando anche l’effetto depressivo che ha finito per esercitare sulla fecondità delle donne italiane, è però fuori discussione che sta ridisegnando il volto stesso della popolazione italiana. E’ in atto infatti una forte compartimentazione / segmentazione della popolazione italiana in etnie e, insieme, una ibridazione di questa popolazione ad opera di quelle stesse etnie. I due processi hanno proceduto in parallelo: stiamo assistendo al tempo stesso alla separazione l’una dall’altra delle più numerose comunità nazionali presenti in Italia, con la riproduzione, sul nostro territorio, di usi e costumi di queste stesse comunità; e, contemporaneamente, al mischiarsi dei patrimoni genetici, al meticciamento su basi nuziali-riproduttive tra gli italiani e le altre comunità nazionali. La compartimentazione crea una società inevitabilmente più estranea a sé stessa, con più labili vincoli interni di solidarietà e maggiori e più numerose occasioni di contrasto tra i suoi diversi segmenti.

 

Ma la stessa ibridazione genica, che apre la strada al meticciamento, ha bisogno di tempo perché si possa evitare lo sfasamento, gravido di drammi e traumi, tra la congiunzione sentimentale-sessuale da un lato e la congiunzione culturale-esistenziale dall’altro, con questa seconda che avviene molto più lentamente e problematicamente della prima. Occorre tempo non soltanto per intervenire con politiche di accoglienza e integrazione all’altezza di questo nome, ma anche per far maturare, all’interno di queste politiche, il senso di appartenenza a un’unica collettività e una effettiva sintonizzazione con le sue tradizioni, la sua storia, la sua cultura da parte di individui che vengono da tutt’altre storie e culture. Tempo e pazienza. E questo implica di contrarre i flussi migratori in entrata. Di limitarli come pure di selezionarli sulla base di precise esigenze del paese. Pensare di fare diversamente, di ospitare e accogliere in misura pressoché indiscriminata non è solo illusorio, è dannoso e pericoloso. Se teniamo all’Italia, alla popolazione italiana e al suo futuro, non c’è altra alternativa a quella di procedere con l’immigrazione in modo tanto selettivo quanto rallentato. O tutto ci scapperà di mano. La situazione senz’altro. E anche il volto di una popolazione che rischia la spersonalizzazione e l’irriconoscibilità.