Theresa May (foto LaPresse)

May fa la vaga sui contorni della Brexit, l'Europa pone un'unica condizione. I calcoli politici

Paola Peduzzi
Addolcita dal tour europeo, arriva a Roma l’inglese Theresa. Ora si parla di separazione “amichevole” e la prima ipotesi, quella più dolorosa e definitiva, è stata via via accantonata.

Roma. Da quando ha iniziato il suo tour europeo Theresa May si è addolcita. O forse si sono addolciti i partner europei, anche quelli che fin dal voto della Brexit avevano giurato punizione eterna per il Regno Unito. May non ha l’aria di una signora conciliante, i primi segnali del suo mandato di governo sono stati piuttosto brutali – un regolamento di conti interno al Partito conservatore senz’appello – e anche l’esordio sulla questione della Brexit è stato duro, dateci il tempo di capire cosa vogliamo e s’inizia a trattare. Poi però gli incontri con i colleghi dell’Unione europea – la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese François Hollande e oggi il presidente del Consiglio Matteo Renzi – hanno contribuito a smussare gli spigoli di un premier che deve portare a termine un divorzio inedito e contestato con il suo partner di sempre.

 

Ora si parla di separazione “amichevole” e la prima ipotesi, quella della “hard Brexit”, la più dolorosa e definitiva, è stata via via accantonata. Renzi non è mai stato tra i catastrofisti dell’Ue: pur avendo fatto un appello contro l’uscita del Regno Unito dall’Ue poco prima del referendum e aver lavorato in asse con l’ex premier inglese David Cameron per una riforma dell’Ue, il presidente del Consiglio ha provato a interpretare il voto britannico senza istinti punitivi, arrivando anche a dire che la Brexit “potrebbe costituire un’opportunità per il resto dell’Europa”. Molti colleghi europei non condividono lo stesso ottimismo – e gli effetti del voto referendario, per quanto oggi non eccessivamente drammatici, si cominceranno a quantificare alla fine dell’estate – ma l’Europa sta imparando a discutere della Brexit senza l’istinto punitivo (e autolesionista) dei primi giorni.

 

I contorni della Brexit sono ancora da definire, la trattativa reale, che sarà meno composta dei dialoghi di oggi e che riguarda lo status dei rapporti tra il Regno Unito e l’Unione europea, non è iniziata e non lo sarà almeno fino a quando Londra non si deciderà ad attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che dà il via alla procedura di divorzio (per ora l’unica decisione della May che è stata davvero criticata è stata la nomina di Boris Johnson al ministero degli Esteri: i colleghi europei non si sono ancora ripresi). Merkel si è rivelata accondiscendente – e i giornali internazionali non fanno che celebrare la sintonia tra le due dame d’Europa, pragmatiche e decise, ispirate dal buon senso come sottolineava ieri il New York Times – almeno sulle tempistiche, ma nel merito la linea europea è chiara: se Londra vuole avere accesso al mercato unico, deve anche accettare la libera circolazione delle persone, non si spacchettano le varie alternative che, come ha più volte ribadito Hollande, sono i princìpi ispiratori di un progetto comune.

 

Questo per May è un problema: si sa che la questione dell’immigrazione è stata determinante nel voto a favore della Brexit e mai come in questi giorni di continui attacchi terroristici in territorio europeo la retorica contro le frontiere aperte è tanto efficace. I critici dell’approccio cosiddetto soft della May stanno già protestando, ma sono stati in parte silenziati ieri da un sondaggio che dà i Tory al 43 per cento, contro il Labour al 27 – i conservatori non registravano un distacco del genere dal 1991. L’Europa però è diventata insofferente ai calcoli politici interni al Regno Unito, che già hanno determinato la decisione di indire il referendum stesso sulla Brexit: come sa bene l’Italia, con il suo settore bancario che più ha patito per l’incertezza e il panico post referendari, quel che decide Londra ha ripercussioni immediate sul continente, e il continente non può lasciare che sia ancora una volta Londra, che vuole andarsene, a determinare il suo destino. Questo è il punto dirimente delle discussioni che la May sta tenendo con i partner europei: ci vogliono ordine e condivisione di obiettivi, soprattutto ci vuole chiarezza. Al di là dei toni dialoganti, il premier inglese non ha ancora deciso che genere di Brexit vuole, o più probabilmente non ha raggiunto ancora un compromesso all’interno del suo governo. Intanto si occupa di definire una visione nuova del conservatorismo, che faccia da magnete a quella “working class” che si sente tradita dalla politica: la chiamano riforma del capitalismo, ed è un progetto europeo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi