Vertice Nato a Varsavia (foto LaPresse)

Perché il vertice Nato di Varsavia è il più importante dal 1945

David Carretta
L’Europa dell’est ha paura di Putin, l’ovest teme l’Isis, Obama prova a ricompattare un’Alleanza colpita dal post Brexit.

Bruxelles. La chiave per comprendere lo stato della Nato, nel momento in cui si riunisce a Varsavia quello che Barack Obama ha definito il summit “più importante per la nostra alleanza transatlantica dalla fine della Seconda guerra mondiale”, sta in una frase pronunciata ieri da Donald Tusk. “Anche se la nostra sicurezza interna e esterna sono strettamente legate, a volte è come se l’Ue e la Nato vivessero su due pianeti diversi”. Il problema non è solo la “sovrapposizione” di stati membri e competenze o la mancanza di cooperazione in settori chiave come le “minacce ibride”, ha detto Tusk. Le questioni tecniche si possono superare con un po’ di coordinamento brussellese. Dopo la Brexit, a Varsavia è in gioco l’anima stessa dell’alleanza tra quelli che Tusk ha definito “il nuovo mondo” e il “vecchio mondo”: gli Stati Uniti e l’Europa si trovano confrontati a “un mondo a parte” (Russia, Cina, Iran, organizzazione dello Stato islamico) che ha “valori e obiettivi strategici diversi” e può contare su “alleati anche negli Stati Uniti e in Europa”, dove “sentiamo sempre più slogan anti-democratici, appelli all’egoismo nazionale, all’isolazionismo, all’euroscetticismo”. Solo che il neo-isolazionismo e il ciascuno per sé hanno contagiato anche le capitali e i loro leader, con il rischio di far tornare ad essere l’Atlantico un oceano di separazione.

 

L’ordine mondiale post Guerra fredda, forgiato dalle democrazie liberali, è sotto attacco: in Ucraina, dove la Russia ha modificato le frontiere con la forza per la prima volta in Europa dalla Seconda guerra mondiale; nel mare del Sud della Cina, dove Pechino conquista isolotti per controllare la più grande autostrada marittima del commercio globale; nel medio oriente, dove lo Stato islamico e la Repubblica islamica d’Iran si fanno la guerra in Siria e altrove per l’egemonia dentro e fuori l’islam. Barack Obama ha cercato di richiamare gli europei all’ordine, dopo che la Brexit li ha indirizzati verso una crisi ancor più introspettiva di quelle della zona euro o dei rifugiati. “Le nostre nazioni devono trovare la volontà politica e assumersi impegni concreti per affrontare queste sfide urgenti”, ha detto il presidente Obama: “We can – ma solo se restiamo uniti come veri alleati e partner”. Per Obama, l’idea che la Brexit stia portando al crollo “dell’intero edificio della sicurezza e prosperità dell’Europa” è una “iperbole”. Ma lo stesso presidente è stato costretto a trattare i leader europei come scolaretti capricciosi: in questo “momento critico” per l’Ue, “nessuno ha un interesse in negoziati protratti e conflittuali” sui futuri rapporti con il Regno Unito, ha detto Obama.

 

Con l’America che si ritira dall’Europa e dal mondo, l’uscita britannica rappresenta un duro colpo per l’Ue, che perde la sua principale potenza militare. “Immaginatevi l’Iraq del 2003 oggi: una maggioranza dei paesi europei sosterrebbe la Coalizione guidata dagli americani, ma la posizione dell’Ue dentro il Consiglio di Sicurezza sarebbe affidata unicamente alla Francia”, dice un diplomatico. Aldilà della Brexit, i capricci degli europei si moltiplicano quando si tratta di geopolitica. Con rare eccezioni, nessuno è disposto a spendere il 2 per cento nella difesa. I paesi dell’est non guardano allo Stato islamico come a una minaccia diretta. La Cina è così lontana che i Ventotto dell’Ue litigano sul Ttip, malgrado sia l’unica speranza di preservare la loro influenza sull’ordine economico mondiale. Ma è soprattutto la Russia a dividere. Per Francia, Italia e Grecia, Mosca è “un partner e non una minaccia” anche se “a volte usa la forza militare”, come ha detto François Hollande. I paesi dell’est la considerano come una “minaccia” esistenziale. La Germania è ambigua, divisa tra il falco Angela Merkel e le colombe socialdemocratiche.

 


Il Vertice di Varsavia dovrebbe comunque segnare un simbolico ritorno al futuro dell’Alleanza. Dopo aver smobilitato in Afghanistan le ambizioni di diventare un gendarme globale, confrontata alle aggressioni della Russia appena oltre i suoi confini allargati, la Nato vuole tornare a essere un ombrello di protezione. Simbolicamente, invierà quattro battaglioni in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia per “rendere chiaro” a Vladimir Putin “che un attacco contro un Alleato andrà incontro alle forze di tutta l’Alleanza”, ha spiegato il segretario generale, Jens Stoltenberg. In realtà, tutti gli analisti militari concordano che i quattro battaglioni verrebbero spazzati via in poche ore, se la Russia decidesse di invadere l’Europa dell’est. “E’ come usare uno schiaccia-mosche contro un orso impazzito”, ha ironizzato il tabloid russo pro-Cremlino Moskovsky Komsomolets.

 

Almeno, nel mondo post Brexit, David Cameron ha cercato di rassicurare sull’impegno del Regno Unito nell’Alleanza. Londra assumerà il comando di uno dei battaglioni, invierà 500 soldati in Estonia e altri 150 in Polonia. Cameron ha promesso che non ci saranno tagli alla spesa per la difesa: “Faremo di più dentro la Nato per compensare il nostro ritiro dall’Ue”. Ma anche in questo caso, gli annunci sono solo simbolici. Se non ha fatto crollare subito l’edificio Europa, la Brexit apre un’èra di incognite e allarga la distanza che separa le due sponde dell’Atlantico.