I Radiohead (foto LaPresse)

Cronache dalla nuova Turchia di Erdogan, dove i Radiohead sono banditi

Giulia Pompili
Un’aggressione in un locale, le parole del presidente

Roma. La festa organizzata dai Radiohead per l’uscita dell’ultimo album “A Moon Shaped Pool” avrebbe dovuto essere globale. La band inglese aveva invitato i negozi di dischi indipendenti in giro per il mondo a organizzare un ascolto collettivo ed esclusivo di un concerto – quello al Roundhouse di Londra – che sarebbe stato trasmesso contemporaneamente nei cinque continenti il 17 di giugno. Così funziona il mondo dei Radiohead, sin dal 1997, anno del successo globale con “Ok Computer”:  tenere insieme i fan, unici esegeti del messaggio musicale di Tom Yorke e soci. Sono appassionati che si riconoscono tra loro, e che partecipano attivamente alla messa cantata dei sacerdoti dell’alternative rock, che predicano l’amore universale e il rispetto per la natura.

 

A Istanbul la festa per “A Moon Shaped Pool” l’aveva organizzata Seogu Lee, un coreano che da sei anni vive in Turchia. Lee ha un negozio di dischi indipendente, il Velvet IndieGround Records, a Tophane. Intorno alle nove di sera il negozio si sta riempiendo di ragazzi, qualcuno con la birra in mano e qualcuno seduto per terra, fin sulla strada la musica dei Radiohead. Un ragazzo mette su una diretta Periscope (un’applicazione che rende possibile delle lunghi streaming video via internet). Poi improvvisamente l’atmosfera cambia. E basta guardare il video che è stato caricato online: l’ingresso degli estremisti – un gruppo di quindici, venti persone – è spaventoso. Gridano contro i ragazzi che non stanno rispettando il Ramadan, ma bevono birra e ascoltano musica. Iniziano a picchiare con tubi e spranghe, rompono bottiglie sulle teste, il massacro dura una mezz’ora, tutto documentato online, comprese le facce insanguinate dei fan. Arriva un’ambulanza, porta via qualcuno. Il giorno dopo, sabato mattina, le lacrime di Seogu Lee finiscono sui giornali: è difficile per un coreano capire questo tipo di intolleranza. Il proprietario del locale gli ha chiesto di chiudere il negozio, almeno per qualche giorno, visti i danni materiali provocati dagli aggressori. Secondo l’agenzia privata turca Dogan, anche i manifesti dell’evento dei Radiohead a Tophane sono stati rimossi.

 



 

La band intanto pubblica una dichiarazione piuttosto fredda, nella quale manifesta il proprio amore per gli ammiratori turchi e spera che “un giorno potremo guardare indietro a certi episodi di violenza e intolleranza come a cose di un passato lontano”. Su Facebook, alcuni utenti commentano la pagina dell’evento di Istanbul. La musicista Isil Toksoz scrive: la Costituzione sta cambiando, la sharia sta arrivando. Sabato sera, qualche centinaio di ragazzi si riunisce di nuovo davanti al negozio di dischi di Seogu Lee per protestare contro “gli attacchi fascisti” degli estremisti islamici. La polizia risponde con gas lacrimogeni, così come avviene da qualche tempo in Turchia per le manifestazioni non autorizzate. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ieri ha condannato entrambe le parti in causa: “L’uso della forza è sbagliato tanto quanto organizzare un evento del genere che arriva fino alla strada durante il Ramadan”, ha detto Erdogan in un discorso trasmesso dal suo ufficio.

 

La Turchia ha un profondo legame economico e commerciale con la Corea, e Erdogan si è scusato direttamente con Seogu Lee: “Le persone che non hanno alcun rispetto per la sensibilità del proprio paese, ma anche gli altri, che reagiscono con modalità antidemocratiche, rischiano di gettare un’ombra sulla ospitalità della Turchia”. Erdogan ha detto anche che i responsabili dell’attacco sono stati fermati, ma non è difficile pensare quanto questo episodio influenzerà i prossimi eventi musicali internazionali in programma in Turchia. Trent’anni fa i Litfiba cantavano “Istanbul baluardo sacro per l’incrocio delle razze degli uomini brucerà”, in una canzone che fu per decenni cantata al Concerto del Primo maggio come simbolo dell’“incontro” tra la cultura araba e occidentale. E qualche giorno fa sul Corriere Carlos Santana, mostro sacro del rock, in un’intervista ad Andrea Laffranchi diceva che “le cose migliori per il rock arriveranno lungo la rotta Istanbul, Persia, Kuala Lumpur. Negli Stati Uniti il sistema musica investe troppo sul rap, quindi le band nuove arriveranno da quei territori”. Istanbul, appunto, dove non si può manco sentire in streaming un album dei Radiohead.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.