Il presidente turco Erdogan (foto LaPresse)

Erdogan corre senza più ostacoli verso la Nuova Turchia, l'Ue sta a guardare

Eugenio Cau

Se prima i funzionari di Bruxelles si sentivano in dovere di tenere sotto controllo le pulsioni autoritarie del presidente, adesso che da lui dipende l’afflusso o meno dei migranti, è il presidente a definire le regole del gioco.

 

 

Roma. Recep Tayyip Erdogan ha eliminato tutti gli ostacoli, e il suo progetto di riforma politica, sociale e morale dello stato turco, che vede la sua persona al centro di ogni cosa, ha iniziato infine a viaggiare spedito. Il presidente turco punta da anni a modificare l’assetto politico del paese, trasformando la Repubblica parlamentare turca in un sistema presidenziale. A questo scopo si è fatto eleggere presidente nel 2014, a questo scopo ha iniziato una campagna personalistica sui media e nella politica che ha avuto come effetti non proprio collaterali la chiusura di alcuni giornali e la repressione o l’imprigionamento di giornalisti d’opposizione e dissidenti politici. Erdogan ha un’ossessione per il presidenzialismo, e non lo dicono soltanto i suoi oppositori: lo si desume dalle sue dichiarazioni martellanti e dal fatto che, in un modo o nell’altro, tutte le sue decisioni di politica interna seguono un’unica stella polare. Fino a oggi, però, Erdogan non era riuscito a soddisfare la sua ossessione. Gli avversari politici interni, quel dettaglio trascurabile che sono le elezioni o i paletti imposti dall’Europa lo avevano sempre bloccato. Ma di recente due dei suoi principali ostacoli si sono infine fatti da parte. Da un lato con la dipartita del premier Ahmet Davutoglu, costretto alle dimissioni il mese scorso, è venuto meno il principale freno interno alle smanie del presidente. Dall’altro la crisi europea dei migranti, e il deal sugellato in seguito tra Bruxelles e Ankara per sigillare la rotta dei Balcani, ha sollevato Erdogan da ogni preoccupazione sulle interferenze dell’Unione europea.

 

Se prima i funzionari di Bruxelles si sentivano in dovere di tenere sotto controllo le pulsioni autoritarie del presidente, adesso che da lui dipende l’afflusso o meno dei migranti, è Erdogan a definire le regole del gioco, e a impicciarsi senza timori nella vita politica dei paesi Ue, come ha mostrato il caso del comico tedesco Böhmermann. Due decisioni recenti mostrano l’accelerazione importante che il processo di trasformazione dello stato turco ha subìto nelle ultime settimane: da un lato l’Akp, il partito di governo fondato da Erdogan, ha presentato al Parlamento una proposta di legge del sistema giudiziario che ristruttura due delle principali corti del paese, il Consiglio di stato e la Suprema corte d’appello e, novità assoluta per il sistema turco, dà al presidente, cioè a Erdogan, autorità di nomina su un numero consistente di giudici, tanto che l’opposizione ha parlato di un cambiamento sostanziale nell’intero assetto dello stato. Ancora in Parlamento, inoltre, il partito di governo sta producendo una bozza per la nuova Costituzione del paese, quella che, come desiderato da Erdogan, darà allo stato un assetto presidenziale.

 

Ma appunto: il progetto del presidente non è solo politico, è di trasformazione radicale e morale dello stato, e nella bozza sono stati eliminati tutti i riferimenti all’ideologia e al pensiero, laici e secolari, del padre della Repubblica Atatürk, definito semplicemente come “fondatore”. L’opposizione ha promesso battaglia contro entrambe le misure, ma difficilmente riuscirà a raccogliere i numeri – e se anche ci dovesse riuscire, un governo compiacente indirà nuove elezioni. L’esecutivo attuale, presieduto dal fedelissimo Binali Yildirim, è a tal punto impalpabile da risultare invisibile, e da aver spinto Yigit Bulut, consigliere capo del presidente, a dire ai giornalisti: con un leader come Erdogan, “nessun altro eccetto lui deve fare politica”. L’Europa assiste interdetta a questo processo sempre più accelerato, ma impotente: mercoledì Ankara ha mancato la deadline per rispettare i 72 criteri necessari alla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, parte essenziale del deal sui migranti. La Commissione ha notificato la mancanza, ma non ha preso ulteriori provvedimenti: i negoziati continueranno intonsi, Erdogan può permettersi questo e altro.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.