Esercitazioni sulla sicurezza in Francia in vista degli Europei (foto LaPresse)

I terroristi “colpiranno presto e colpiranno forte” in Europa

David Carretta
Un alto responsabile europeo mette in guardia sul rischio attentati durante gli Europei: la minaccia è più elevata di quanto vogliano far credere i francesi

Bruxelles. Nonostante i progressi realizzati dopo gli attacchi contro Parigi e Bruxelles nella cooperazione tra servizi europei nella lotta contro il terrorismo, le cellule dell'organizzazione dello Stato islamico “colpiranno, colpiranno presto e colpiranno forte”. Ne è convinto un alto responsabile europeo, che ha parlato al Foglio sotto condizione di anonimato a pochi giorni dall'inizio degli Europei di calcio in Francia che potrebbero costituire un obiettivo privilegiato per dimostrare che lo Stato islamico “non si arrende senza combattere”. “C'è un sacco di gente che è tornata dalla Siria e non sappiamo dov’è”, spiega l'alto responsabile. “Dei 5.000 foreign fighters (i combattenti con passaporto europeo andati in Siria) non tutti sono diventati buoni all'improvviso”. L'organizzazione dello Stato islamico “si sta facendo schiacciare in Siria e Iraq” e “sappiamo che c'è un’”unità a Raqqa incaricata di preparare attentati” in Europa. Insomma, è la logica a suggerire che la minaccia è più elevata di quanto vogliano far credere i francesi alla vigilia degli Europei. L'incontro Inghilterra-Russia a Marsiglia sabato 11 giugno potrebbe essere un bersaglio privilegiato, anche se non necessariamente allo stadio. Francia, Regno Unito e Russia “sono tre nemici dello stato islamico”. Il danno collaterale maggiore inflitto all'Ue sarebbe di provocare “l'uscita dal Regno Unito” nel referendum del 23 giugno sulla Brexit. Ma, comunque andrà agli Europei, “i prossimi mesi saranno molto difficili”, dice il responsabile: le autorità “britanniche, tedesche, francesi e belghe sono molto inquiete”.

 

L'Unione europea paga il prezzo delle inefficienze passate nella lotta al terrorismo e di una visione da Guerra fredda che prevale ancora all'interno dei servizi. Dopo Parigi e Bruxelles c'è stata un'accelerazione nell'azione comune contro il terrorismo: la Commissione ha lanciato una comunicazione sulla “Security Union”, i governi stanno negoziando all'Ecofin un pacchetto sul finanziamento del terrorismo, il Servizio di Azione Esterna di Federica Mogherini è stato coinvolto di più per concludere partnership di sicurezza dal Marocco ai Balcani. Ma il passo avanti più importante è stato realizzato nella condivisione delle informazioni. Nella banca dati Sis (Schengen Information System) il numero di “segnalamenti discreti” di persone sospettate di essersi radicalizzate o di terrorismo è passato da 1.000 a 8.000 negli ultimi mesi. Un balzo in avanti significativo, ma che non cancella gli errori degli ultimi anni e mesi. I dati contenuti in Sis sono “alfanumerici, non biometrici”, spiega la fonte del Foglio: basta un passaporto falso con un nome inventato per aggirare un controllo. Grazie all'accordo Ue-Turchia sui migranti è stata chiusa una via di ingresso – quella della Grecia – privilegiata dagli jihadisti. Ma nascosti nell'onda di profughi che lo scorso anno hanno attraversato la rotta dei Balcani potrebbero essere passati inosservati centinaia di combattenti dello Stato islamico. Perfino in Germania, paese tra i più organizzati ed efficienti, “su un milione di rifugiati solo il 10-20 per cento sono stati controllati” nelle banche dati europee.

 

Lo choc di Parigi e Bruxelles ha spinto la comunità di intelligence europea a strutturare meglio la sua cooperazione, in particolare all'interno del Gruppo Anti Terrorismo creato dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Ma “non c'è la volontà di fare un salto federale”, spiega il responsabile europeo. “I ministri dell'Interno non hanno alcuna cultura europea. Il loro orizzonte è nazionale”. Un problema culturale simile caratterizza i servizi segreti. “E' difficile far cambiare il paradigma del contro-spionaggio” che aveva caratterizzato la loro azione durante la Guerra fredda, spiega la fonte del Foglio. I servizi segreti dei singoli paesi “privilegiano i rapporti bilaterali”, in parte per timore di perdere fonti, in parte perché non si fidano dei colleghi europei. La mentalità è inadeguata rispetto alla sfida dello Stato islamico e dell'islamismo jihadista. Lo Stato islamico non “infiltra i servizi di sicurezza. Sono 5.000 persone, piccoli criminali, più migliaia di radicalizzati che li fiancheggiano nei nostri quartieri, dove non ci sono abbastanza infiltrati”. Il loro obiettivo “non è la destabilizzazione di uno stato, ma dell'intera società”. Senza un cambio di cultura e di mentalità dei ministri dell'Interno e dei servizi di intelligence, l'Europa continuerà a esporsi con più facilità a nuovi attacchi.

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