Lo spirito del Nazareno può passare per la "disciplina repubblicana"

Maurizio Stefanini
Il nuovo sistema, lanciato in Francia, è stato usato in Perù, Svizzera, America e Austria. Può essere utile anche in Italia?

In Perù è minimo il vantaggio dell’economista liberale Pedro Pablo Kuczynski su Keiko Fujimori, populista di destra e figlia dell’ex-presidente, condannata a 25 anni per omicidio, sequestro aggravato e lesioni gravi, e a sette anni e mezzo per peculato, appropriazione di fondi pubblici e falso ideologico. Kuczynski ha raggiunto il 50,32 per cento dei voti contro il 49,68 per cento di Fujimori, dopo il 92,6 per cento dei voti scrutinati. In Svizzera è stato invece di un massiccio 76,9 per cento il no al referendum sulla proposta di un “reddito di base incondizionato”, pari a 2300 euro al mese per ogni adulto e a 570 euro per ogni adolescente e bambino. D’altronde il risultato non è mai stato in dubbio, visto che nei sondaggi il consenso a dare a tutti uno stipendio anche senza lavorare non ha mai oltrepassato il 40 per cento. Il secondo referendum svizzero che punta a rendere più rapide le procedure sul diritto di asilo ha ottenuto invece un 66,8 percento di voti favorevoli. Meno scontata è stato al contrario l’esito delle elezioni in Perù, dove Keiko al primo turno del 10 aprile era arrivata largamente in testa con il 39,86 per centro, contro il 21,05 di Kuczynski. Ed ha praticamente continuato a essere in testa fino alla vigilia del voto, quando proprio all’ultimo momento la candidata di sinistra, Verónika Mendoza, ha diramato una direttiva di votare per Kuczynski. “Keiko rappresenta quanto di più nefasto ci possa essere”, ha spiegato ai suoi elettori. “È attorniata da gente corrotta e legata al narcotraffico”. Da notare che la Mendoza ha detto chiaramente che a Kuczynski presidente farà opposizione. Ma meglio lui, che la figlia di “Chinochet”, come lo avevano ribattezzato contro il golpe contro il Parlamento, ironizzando sulle sue origini orientali (in America Latina chiamano popolarmente “chinos” anche gli oriundi giapponesi, come appunto lo stesso Fujimori, e coreani).

 

Che c’è in comune tra queste due votazioni, a parte l’essere avvenute entrambe domenica 5 giugno 2016? Molto poco, in realtà. Salvo un dato essenziale: in entrambi i casi, su consiglio dei partiti ma alla fin fine decidendo di testa propria, gli elettori hanno votato superando le distinzioni di ideologia e di interesse, per battere tutti assieme la demagogia populista. Una demagogia populista di destra che appariva una minaccia per la democrazia, in Perù; due proposte demagogiche l’una di sinistra buonista e l’altra di destra xenofoba ma che rischiavano entrambe di mettere in crisi il modello economico, in Svizzera. Insomma: due esempi di “discipline républicaine”. “Disciplina repubblicana” in francese, perché è stata la Francia a lanciare il modello. Lo slogan nacque nella Terza Repubblica tra 1885 e 1889, quando i pur litigiosi partiti repubblicani decisero di convergere ogni volta che fosse stato necessario per impedire la vittoria di un anti-repubblicano: boulangista, monarchico, bonapartista. Giusto un secolo dopo la “disciplina repubblicana” è stata riesumata dalla Quinta Repubblica, suggerendo la confluenza tra elettori di sinistra e elettori del centro-destra ogni volta che fosse necessario bloccare l’emergente Fronte Nazionale. Il suo esempio più spettacolare fu alle presidenziali del 2002, quando al primo turno Jean-Marie Le Pen si qualificò per il ballottaggio contro il presidente uscente Jacques Chirac, con il 16,9 per cento contro il 19,9. Ma poi l ballottaggio Le Pen non riuscì a oltrepassare il 17,79, mentre Chirac prendeva l’82,21. Con la nuova linea moderata di Marine Le Pen, lo spostamento del Fronte Nazionale su posizioni stataliste simili a quella della sinistra storica e la penetrazioni in tutto l’elettorato della preoccupazione per l’eccesso di immigrazione, vari politologi hanno concluso che il principio della “disciplina repubblicana” era ormai sempre più improponibile, dal momento che ormai gli elettorati di sinistra e di destra tendevano a essere ognuno più vicino all’elettorato del Front piuttosto che fra di loro. Invece, alle regionali dello scorso dicembre, la “disciplina repubblicana” è scattata di nuovo; e a un punto tale che il Fronte Nazionale, pur arrivando al ballottaggio in tutte le regioni metropolitane, non se ne è aggiudicata neanche una. Poiché il sistema elettorale francese per le regionali dà accesso al secondo turno a tutte le liste che oltrepassano il 10 per cento, è stato essenziale in particolare il ritiro del candidato socialista a favore di quello del centro-destra in Calais-Passo di Calais-Piccardia e in Provenza-Alpi-Costa Azzurra.

 

Ma una “disciplina repubblicana” l’abbiamo vista anche in Austria alle ultime presidenziali, con il Verde Alexander Van der Bellen che al ballottaggio dello scorso 24 aprile ha chiuso i conteggi “normali” con 144.006 voti di svantaggio sul candidato della destra Norbert Hofer, ma poi grazie ai voti postali è risalito fino a imporsi con 31.026 voti. E, anche se il termine può sembrare improprio per via del fatto che ci troviamo in una monarchia, la “disciplina repubblicana” funziona anche nel Regno Unito. Tutti i leader nazionali di partito nel 2014 andarono infatti a far campagna in Scozia quando i sondaggi mostrarono che il sì all’indipendenza era in testa, riuscendo a raddrizzare il risultato in extremis. Allo stesso modo, il nuovo sindaco laburista di Londra, Sadiq Khan, di fronte alla latitanza di Corbyn e alla forte avanzata del Brexit registrata dai sondaggi, si è impegnato in prima persona a fare campagna pro-Europa insieme al premier conservatore David Cameron. Anche negli Stati Uniti il termine di “disciplina repubblicana” appare improprio, poiché, dopo la vittoria di Trump alle primarie, il candidato repubblicano consiglia gli elettori di essere “indisciplinati” e di votare per la democratica Hillary Clinton. Ma il concetto è quello.

 

La “disciplina repubblicana” è un concetto più labile della Grande Coalizione, quando grandi partiti storicamente avversari si mettono assieme perché non ci sono altre maggioranze possibili e/o per affrontare congiunture e riforme difficili. Ed e più labile anche di quello che al Foglio abbiamo ribattezzato “spirito del Nazareno”, quando per fare riforme i grandi partiti avversi si accordano anche senza bisogno di fare un governo assieme. Con la “disciplina repubblicana” si tratta solo di bloccare una forza anti-sistema. Proprio di un sistema simile l’Italia potrebbe avere ora bisogno al secondo turno di queste amministrative, di fronte all’offensiva dei Cinque Stelle e dei De Magistris. Ma vedremo…