La candidata alle elezioni del Perù, Keiko Fujimori (foto LaPresse)

Cosa c'è da sapere sulle elezioni in Perù

Maurizio Stefanini

Fujimori contro Kuczynsky. La prima sembra in vantaggio sul secondo in vista del ballottaggio di domenica. Leader sudamericani, premi Nobel, persino Vladimir Putin: ecco chi sostiene chi nella tornata elettorale.

Keiko Fujimori 51,1 per cento dei voti validi espressi; Pedro Pablo Kuczynski 47,9. Non si tratta ancora dei risultati elettorali del ballottaggio presidenziale previsto in Perù domenica 5 giugno.  Ma è una simulazione che la società Datum International ha fatto il 1° giugno su un campione di duemila persone, con un margine di errore del 2,2 per cento. Più in dettaglio, Keiko, come la chiamano più comunemente per brevità i suoi sostenitori, si attesta al 46,3 per cento delle intenzioni di voto; PPK, come è a sua volta chiamato Kuczynski, si ferma al 42,6; l’11,1 ha votato in bianco o nullo.

 


Pedro Pablo Kuczynski (foto LaPresse)


 

Sarà dunque vincitrice la 41enne figlia dell’ex-presidente che oggi è in galera per una condanna a 25 anni per omicidio, sequestro aggravato e lesioni gravi, più altri sette anni e mezzo per peculato, appropriazione di fondi pubblici e falso ideologico? In realtà, non è del tutto sicuro. Rispetto a un’analoga simulazione fatta tra il 23 e il 25 maggio, Keiko è scesa di 0,8 punti mentre e PPK è salito di altrettanti. E all’11 per cento di schede nulle e bianche della prova bisogna aggiungere un 5 per cento di elettori che in base ai sondaggi sono ancora indecisi. In realtà, su molti temi è difficile scegliere tra i due candidati, entrambi catalogati a destra ed entrambi a favore del modello economico liberale che nel primo trimestre del 2016 ha assicurato una crescita del 4,42 per cento, con un’inflazione del 3,54 che per l’America latina è un dato eccellente.

 

È il modello che dopo essere stato propugnato da Mario Vargas Llosa alle presidenziali del 1990 fu messo in pratica proprio da Alberto Fujimori, che pure in campagna elettorale aveva fatto intendere di esservi contrario. In seguito, è stato fatto proprio da tutti i presidenti che si sono susseguiti: prima dall’indio Alejandro Toledo, proprio con il banchiere PPK alle Finanze; poi dal socialdemocratico Alan García; infine dall’ex-chavista Ollanta Humala. Tra l’altro, quando nel 2011 Keiko era andata al ballottaggio proprio contro Humala, PPK si era schierato con lei. Ma i ballottaggi in Perù impongono sempre scelte drastiche, di cui è il massimo esempio proprio Vargas Llosa: il Nobel che non è riuscito a diventare presidente, ma in compenso è diventato un grande king maker. Dopo aver appoggiato Toledo nel 2001, infatti, nel 2006 si schierò con quello stesso Alan García contro cui era sceso in campo nel 1990, pur di bloccare Humala. E nel 2011 ha invece appoggiato Humala, per bloccare Keiko.

 

Stavolta il suo appoggio a PPK rappresenta per lui una scelta meno spinosa, ma in compenso il dilemma gravissimo l’ha avuto Verónika Mendoza, la candidata di sinistra arrivata terza. È stato un boccone amaro, ma alla fine ha deciso per PPK. “Keiko rappresenta quanto di più nefasto ci possa essere”, ha spiegato ai suoi elettori. “È attorniata da gente corrotta e legata al narcotraffico”.  “Keiko no va”, è lo slogan delle marce che mobilitano tutti i contrari ai Fujimori. Per questo PPK appariva in ripresa, e può ancora sperare.

 

Con PPK, oltre a Vargas Llosa e alla sinistra appaiono schierati in generale le città, i ceti medio-alti, il sud. Insomma, il tipo di elettorato che in Francia farebbe “bocco repubblicano” contro Marine Le Pen e negli Stati Uniti contro Trump. Divisa a metà Lima, con Keiko stanno invece il nord, i ceti popolari e le campagne, che più ringraziano suo padre per la linea dura che spazzò via il terrorismo di Sendero Luminoso, e più diffidano del cognome “gringo”, della pelle bianca e della doppia cittadinanza di Kuczynski. Ma con la sua piattaforma anti-aborto e anti-matrimonio gay si è schierato anche un coordinamento di organizzazioni e chiese evangeliche, mentre la Chiesa cattolica appare divisa: contro la proposta di Keiko di introdurre la pena di morte c’è la Conferenza episcopale; contro l’”abortismo” di PPK c’è il cardinale Juan Luis Cipriani, arcivescovo di Lima e noto esponente dell’Opus Dei. Però, malgrado la posizione anti-gay, sta con Keiko anche Jaime Bayly, il bizzarro scrittore e popolare anchorman che si proclama a sua volta bisessuale. “Anche mia moglie lo è, così a volte in famiglia a volte non si capisce chi è l’uomo e chi la donna”, dice. Secondo lui, Keiko è diversa dal padre e bisognerebbe darle l’occasione di provarlo. Ma ad animarlo c’è anche una nota rivalità con Vargas Llosa, che in un recente libello l’ha ribattezzato “Viagras Llosa” per il modo in cui a ottant’anni ha lasciato la moglie per mettersi con Isabel Preysler.

 

Con Keiko sta anche il mondo dei minatori informali, che in Perù sono un movimento sociale potente quanto i cocaleros in Bolivia o i Senza Terra in Brasile. E per lei tiferebbe anche Vladimir Putin. Il presidente russo rifornisce di armi i leader della sinistra bolivariana Maduro, Morales, Correa e Ortega. Ma non disdegnerebbe di allargare le sue alleanze, dai populisti di sinistra a quelli di destra.