Forze speciali americane in Iraq

Espugnare Raqqa

Redazione
L’America vuole mettere una firma ben visibile sull’operazione anti Is. Perché ora sembra che il presidente Obama voglia davvero se non distruggere il califfato almeno “squeeze”, strizzarlo, come dicono i funzionari del dipartimento di stato.

Gli Stati Uniti hanno avviato nel giro di pochi giorni due enormi operazioni militari contro lo Stato islamico: a Fallujah in Iraq e nel nord della “capitale siriana”, Raqqa. Quest’ultima rappresenta la svolta strategica più rilevante – Raqqa è il cuore inviolato del Califfato – e su cui l’America vuole mettere la sua firma ben visbile. Sarà la legacy, sarà che davvero il timore di Trump è grande (anche al G7 s’è alzato un coro allarmato), ma ora sembra che il presidente Obama davvero voglia se non distruggere il califfato almeno “squeeze”, strizzarlo, come dicono i funzionari del dipartimento di stato.

 

Il capo del Centcom americano, il generale Votel, era andato sabato nel nord della Siria in una visita a sorpresa – inaudita – accompagnato dalla Cnn per incontrare le forze speciali statunitensi dislocate nell’area e i rappresentanti delle Syrian Democratic Forces (Sdf). Insieme hanno organizzato la missione a Raqqa: nei giorni scorsi gli aerei americani hanno bombardato target strategici vicini alla capitale siriana per aprire la via all’operazione. I “boots on the ground” dell’Sdf sono  composti da siriani sunniti e da siriani curdi, e questo pone in sé dei problemi, perché fa intendere che l’obiettivo di Washington sia dare un colpo allo Stato islamico senza interrogarsi troppo su quel che avverà in seguito. La miopia è una debolezza già vista, in un presidente a fine mandato è ancora più visibile, ma mentre alcuni chiedono di rendere “meno curda” l’offensiva delle Sdf, perché si sa che l’aspirazione unica dei curdi è la costituzione di uno stato indipendente, Washington colpisce al Baghdadi, ignora le proposte di collaborazione della Russia e ai pericoli settari ci penserà dopo.

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