Donald Trump (foto LaPresse)

Il richiamo dell'America bianca

Il fenomeno Trump spiegato dall’ideologo della destra identitaria

New York. Definire Donald Trump una “astuzia della ragione” può lasciare interdetti, ma è proprio questo il termine, hegeliano, che Richard Spencer usa per definire il leader che seguendo il puro istinto incarna idee molto più vaste di quelle che è in grado di concettualizzare. Un ideologo preterintenzionale.

 

Spencer è il rampollo più seguito della destra alternativa, la Alt Right nazionalista e bianca che è più vicina alla destra identitaria europea delle Le Pen e dei Salvini che al Partito repubblicano americano. Il suo nome compare in tutte le liste degli estremisti, a partire dalla più prestigiosa, per dir così, quella del Southern Poverty Law Center, che lo definisce “una versione in giacca e cravatta dei vecchi suprematisti” in divisa militare. Una volta è stato anche espulso dall’Ungheria di Viktor Orbán per aver organizzato una conferenza che i partiti più a destra del paese giudicavano “troppo razzista”, e il programma promulgato dal centro di ricerca che presiede, il National Policy Institute, consiste nella creazione di uno stato etnicamente bianco in nord America dopo aver fatto un’opportuna “pulizia etnica pacifica”. Un estremista residuale, un abitante delle catacombe della destra identitaria, si dirà.

 

Eppure il suo uomo della provvidenza, Trump, non si sta certo conquistando la nomination repubblicana con i voti di questi gruppuscoli, è fenomeno popolare, vasto e trash quanto un reality show, ma anche senza saperlo il suo personaggio pascola nelle isolate malghe ideologiche dove il tipo conservatore incarnato da Spencer scorrazza, minoritario, da generazioni. E’ significativo, in questo senso, che Trump abbia deciso di non partecipare al Cpac, la tradizionale kermesse dei conservatori che si tiene ogni anno a Washington. Avrebbe dovuto parlare oggi, mentre invece sarà in Kansas e poi in Florida ad arringare una folla di “ventimila persone o più”.

 

“Non penso che Trump sia pienamente cosciente della radice della sua politica – dice Spencer al Foglio – le sue azioni chiaramente superano le sue intenzioni. E’ in fondo un reazionario, un nostalgico dell’America degli anni Cinquanta, il paese bianco in cui la sua famiglia ha prosperato. Credo che sia questa forma di nostalgia la forza che lo muove, ma inconsciamente contiene e rappresenta una versione antagonista a quella che si è affermata nel conservatorismo mainstream. Trump celebra il funerale degli elementi di cui è composta l’ideologia del Partito repubblicano: il libero mercato, il globalismo, la politica estera espansionista, l’idea dell’egemonia globale. Il successo di Trump ci dice che questi elementi non fanno più presa nemmeno nell’elettorato repubblicano”.

 

Una delle chiavi di lettura del trumpismo, che per il momento è un fenomeno culturale di massa, non una piattaforma o un programma – quello è “flessibile”, come direbbe lui – è “il rifiuto dell’eccezionalismo americano”. L’ideologia di riferimento di Trump, spiega Spencer, è  “il nazionalismo, che è l’opposto dell’eccezionalismo. L’America non è il faro morale per tutte le nazioni né è chiamata a esercitare un’egemonia globale. Non è nemmeno una nazione multiculturale che sfugge alla legge che tutti gli imperi della storia umana hanno dovuto rispettare, cioè l’impossibilità di una convivenza duratura fra etnie diverse. Queste idee sono diventate parte della mentalità conservatrice. Trump è venuto a scardinarle”.

 

[**Video_box_2**]Ma è per questo che la gente lo vota? “Naturalmente no – ammette Spencer senza tentennamenti – la gente lo vota per i tratti superficiali della sua personalità, per il suo carattere infiammabile, per le urla, gli sfottò, le battute, per la riconoscibilità del suo brand e altre cose di questo genere. Ma le forze strutturali che muovono la storia sono più profonde, e possono servirsi anche di un personaggio del genere per manifestarsi. Non lo votano per questo, ma rispondono a un richiamo più profondo”. Astuzia della ragione, se così si può chiamare. Sotto la lamina dorata del trumpismo c’è un richiamo antico all’America bianca, alla classe media che “dagli anni Ottanta a oggi non ha fatto altro che perdere potere d’acquisto”, quella che s’atteggia a minoranza ed erige il muro a immagine centrale della sua campagna. “Siamo in mezzo a un profondo mutamento psicologico della nazione. Trump non può dire che è il candidato dell’uomo bianco, sarebbe una manovra folle, pur essendo la verità. Ma se a un certo punto nella mia vita vedrò un candidato che potrà dirlo sarà anche grazie a lui”.

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