Bandiere catalane festeggiano l'approvazione della risoluzione indipendentista del parlamento della Catalogna (foto LaPresse)

Non solo Catalogna. L'ex presidente del Parlamento europeo spiega perché i micro nazionalismi sono un fiasco

Silvia Ragusa

Lo spagnolo Josep Borrell ha pubblicato un libro che smonta con i numeri e i fatti i miti dell’indipendentismo catalano e spiega al Foglio perché i piccoli separatismi non possono funzionare.

Dopo il fallimento del referendum scozzese e le divisioni nelle Fiandre, la parata dei micro nazionalismi europei adesso è concentrata sulla perfetta “folly” della Catalogna, come ribattezzata dal Financial Times. La questione è al centro dello scacchiere politico spagnolo e desta non pochi grattacapi a Madrid. Dopo che la settimana scorsa re Felipe ha dato al socialista Pedro Sánchez l’incarico di formare un governo, la questione dell’indipendentismo catalano è diventata più centrale che mai e uno dei più grandi ostacoli alla formazione di un’alleanza di sinistra. Podemos non intende rinunciare al referendum pro o contro l’indipendenza promesso in campagna elettorale, mentre per il Psoe l’unità nazionale è un principio non negoziabile. Ma in Catalogna l'autodeterminazione dei popoli c'entra poco.

 

Un po' come fu con “Roma ladrona”, nella Barcellona del nuovo presidente separatista Carles Puigdemont il lemma che risuona più forte è “Espanya ens roba” (la Spagna ci deruba), con argomenti che fanno infuriare: c'è una narrativa, un'epica, dei torti passati e presenti, una bandiera, un inno da intonare e un altro da fischiare, un sentimento d'appartenenza, un'illusione collettiva di un pais nou, libero dall'eredità del passato e dai vincoli del presente. E una collezione di miti, come qualsiasi altro nazionalismo. Poco importa quanto siano reali. Poi il grosso deficit fiscale e le politiche d'austerità imposte dalla cattivissima Madrid. Tutte bugie, dicono Josep Borrell, ex ministro socialista ed ex presidente del Parlamento europeo, e Joan Llorach, docente all'Università Politecnica della Catalunya. I due, autori del saggio “Las cuentas y los cuentos del la indipendencia”, uscito di recente, analizzano gli argomenti politici (e soprattutto economici) che, ancor di più negli ultimi anni, gli indipendentisti usano per fare propaganda.

 


L'ex presidente del Parlamento Europeo Josep Borrell


 

“Il racconto indipendentista non è supportato dai fatti: si parla di una mitologica cifra di 16 miliardi di euro che renderebbe la Catalogna un paese perfino più ricco del Qatar", spiega Joan Llorach. "Non è così: noi catalani paghiamo di più, questo è vero, ma non quegli otto punti di pil sbandierati. All'incirca uno". C'è forse davvero bisogno di chiedere l'indipendenza per un punto di Pil? Perché sul resto, a ben vedere, la Catalogna è già una nacionalidad histórica, cioè una comunità autonoma con un'identità sociale, linguistica e culturale riconosciuta.

 

Dati alla mano, Borrell e Llorach dimostrano, con analisi comparative e incroci di nozioni aritmetiche, fino a che punto Artur Mas e i suoi utilizzano cifre infondate: non è vero che il disavanzo fiscale della Catalogna è eccessivamente alto rispetto a quanto avviene in altri paesi con una struttura federale, o che corrisponde alla fiabesca cifra di 16 miliardi, che presumibilmente la Catalogna potrebbe avere a disposizione subito dopo il divorzio. Ancor meno vera poi l'idea di una separazione a costo zero, quando le spese per la creazione delle strutture minime dello stato supererebbero gli otto miliardi. Senza parlare poi della questione dentro o fuori l'Europa. Insomma, la Catalogna "vive in una fiction continua", accusa l'ex ministro socialista Josep Borrell.

 

Molti indipendentisti sono tali per motivi sentimentali, ma il movimento cerca di convincere gli altri catalani dei vantaggi della "disconnessione". La tesi che una dichiarazione unilaterale d'indipendenza sarebbe compatibile con la permanenza nell'Unione europea è per esempio inverosimile, perché è in contrasto con lo spirito e le parole dei Trattati europei ma anche con gli interessi politici dei grandi stati, che si oppongono fermamente a qualsiasi disintegrazione territoriale. "Nessuno accetterà l'indipendenza solo per le patatas bravas", ironizza l'ex presidente del Parlamento europeo Borrell. "Quando sono stato eletto mi sono presentato come catalano, spagnolo ed europeo, tre identità che convivono in me, che non sono antagoniste, ma complementari. Avere più identità fa parte della costruzione di un demos europeo, che supera il nostro tragico passato. L'obiettivo dell'Ue non è aumentare il numero di entità sovrane, ma condividere le sovranità esistenti".

 

[**Video_box_2**]Forse per questo anche gli altri movimenti indipendentisti sparsi per l'Europa, dalla Baviera alle Fiandre, vivono in una sorta di realismo magico. Compreso il Veneto di Luca Zaia, a detta di Joan Llorach. "Denuncia un disavanzo fiscale con l'Italia e propone di imitare il movimento secessionista della Catalogna. Nemmeno lui si rende conto che nessuna regione in Europa sarà indipendente per autoproclamazione, ma solo se riconosciuta dagli altri stati membri. Come ha detto il primo ministro francese Manuel Valls (catalano di nascita), le nazioni d'Europa non devono dividersi. In un mondo globalizzato, non possiamo permetterci un indebolimento per via delle divisioni interne".

 

Qualche anno fa il settimanale Spiegel pubblicava un reportage dal titolo "L'ora degli egoisti". Diceva che "la crisi spinge i separatismi in vari paesi dell'Ue e le regioni ricche non sono più solidali con quelle più povere del paese". Al momento pare non sia cambiato nulla. E c'è ancora qualcuno, soprattutto a Barcellona, che prima di andare a dormire, racconta lo stesso cuento, la stessa "favoletta".