Lo scrittore Mehdi Mousavi

Gli scrittori iraniani perseguitati trovano riparo (ed editori) in Israele

Giulio Meotti
L’eccezione ebraica nell’arco da Casablanca a Mumbai

Roma. Novantanove frustate per aver “insultato la divinità”, oltre che per aver stretto la mano in pubblico a una donna che non fa parte della sua famiglia. E’ la condanna che il regime iraniano ha appena inflitto a Mehdi Mousavi, il poeta reo di non aver seguito i recenti dettami dell’ayatollah Ali Khamenei, che ha stabilito le regole di ciò che la “Guida Suprema” ritiene i “buoni poeti islamici” debbano osservare durante la scrittura.

 

Rahim Safavi, capo dei pasdaran integralisti, lo aveva promesso: “Dovremo tagliare la gola a qualcuno e la lingua a qualche altro”. Il poeta Said Sultanpour venne rapito il giorno del matrimonio del figlio e ucciso in una prigione di Teheran. A Rahman Hatefi-Monfared tagliarono le vene e venne lasciato sanguinare a morte nella prigione di Evin. A Mehdi Shokri cavarono gli occhi, perché aveva scritto un poema beffardo in cui sosteneva che l’immagine dell’ayatollah Khomeini era apparsa in una luna piena. “Spero di vedere il giorno in cui nessuno sarà mandato in prigione in questa terra per aver scritto poesie”, aveva detto Mehdi Mousavi, condannato a undici anni di carcere oltre che alla sua porzione di frustate. E’ andata meglio al più celebre poeta della giovane generazione, Payam Feili. Qualche giorno fa il ministero dell’Interno israeliano, guidato da Silvan Shalom, gli ha rilasciato un permesso di ingresso nello stato ebraico. Sì, i perfidi sionisti hanno aperto le porte al cittadino di uno stato nemico, un iraniano. La visita di Feili coincide con la messa in scena a teatro a Tel Aviv della sua opera “Le tre stagioni”, bandita dagli ayatollah.

 

Poeta omosessuale, Feili ha subìto la censura, gli arresti, le minacce e le vessazioni del regime iraniano, prima di riparare in Turchia e adesso in Israele. E’ da undici anni che una sua opera non viene pubblicata in farsi e gli ayatollah costrinsero persino la casa editrice per la quale Feili lavorava come editor a licenziarlo. Lo scorso luglio, in una intervista al portale israeliano Nrg, Feili aveva espresso il desiderio di visitare lo stato ebraico. Così il ministro della Cultura, la likudnik Miri Regev, ha chiesto al ministro Shalom di concedergli il permesso di ingresso. Appena arrivato a Tel Aviv, il poeta iraniano ha dichiarato: “Ma questo è il più bel posto del mondo”.

 

[**Video_box_2**]Doveva ricordarsene l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, che in visita in Iran lo scorso luglio aveva parlato di “un’alleanza di civilizzazioni” tra Europa e Iran. La storia di Feili e di tanti altri dissidenti iraniani ci indica il contrario. Ci parla dell’unicità di Israele, l’unico porto franco di tutto il medio oriente per le minoranze religiose e sessuali: a sud, ci sono le fruste dei custodi dell’Arabia Saudita; a nord, i palazzi da cui vengono gettati gli omosessuali dallo Stato islamico; a est l’Iraq e poi l’Iran. Si affaccia sul Mediterraneo, a Haifa, il quartier generale della minoranza sincretista Bahai, perseguitata dal regime iraniano. Hanno trovato riparo in quel piccolo stato, più piccolo della Toscana, una goccia con i suoi ventimila chilometri quadrati contro una superficie di tredici milioni di chilometri quadrati dei paesi arabo-islamici. In una grande mezzaluna che va da Casablanca a Mumbai c’è soltanto il libero stato d’Israele.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.