La parata militare a Pechino per la fine della Seconda guerra mondiale lo scorso settembre (foto LaPresse)

La rivoluzione militare cinese

Eugenio Cau
Xi Jinping apre una base in Gibuti. Forse il primo passo per un coinvolgimento militare globale

La Cina apre per la prima volta nella storia una base militare all’estero e mette in moto un cambiamento strategico radicale che segnala una nuova fase della proiezione militare di Pechino nel mondo. La base aprirà in Gibuti, in Africa, paese piccolo ma strategico per la sua posizione a guardia del Corno d’Africa, dove anche gli Stati Uniti hanno la loro unica base in territorio africano, a Camp Lemonnier, dove sono ospitati 4.000 soldati statunitensi. Anche l’Italia ha un proprio avamposto nel paese.

 

Il contratto tra la Cina e il Gibuti è stato firmato la settimana scorsa, e ha una durata di dieci anni. L’annuncio ufficiale fatto giovedì dal ministero degli Esteri cinese non parla di una base militare, ma di insediamenti di “supporto logistico” per il rifornimento delle navi da guerra cinesi impegnate nelle missioni antipirateria delle Nazioni Unite. Gli esperti di Difesa, tuttavia, vedono in questa postazione un passo verso la costruzione della prima base di Pechino all’estero, un evento che cambia la strategia di proiezione del potere militare cinese. Non è un caso che l’annuncio della base in Gibuti sia coinciso con un grande discorso programmatico del presidente cinese Xi Jinping pronunciato davanti a oltre 200 ufficiali, in cui Xi ha annunciato una ristrutturazione sistematica dell’esercito, per trasformarlo in una struttura “più ampia, più integrata, multifunzionale e flessibile”. Xi, che è presidente della Commissione centrale militare cinese e dunque ha pieni poteri sulle forze armate, da tempo cerca di trasformare l’esercito da una forza statica e prevalentemente terrestre, pensata da Mao Zedong per difendere i confini dai nemici regionali, a un esercito flessibile e più orientato alla marina e all’aviazione, capace di sostenere l’espansione degli interessi cinesi su scala mondiale. Per questa ragione lo scorso settembre Xi ha annunciato la riduzione del personale di terra dell’esercito di 300 mila unità – attualmente i soldati dell’Esercito di liberazione sono circa 1,4 milioni.

 

La creazione di una base in Gibuti si inquadra in questo cambiamento storico della strategia militare. Fin dagli anni di Mao la Cina comunista aveva rifiutato esplicitamente la creazione di basi all’estero, e anzi criticava l’“imperialismo” dell’America, che impiantava avamposti militari nei luoghi di maggior interesse strategico ed economico. Per questo, oggi, la costruzione di basi militari all’estero segnala una conversione della strategia cinese, ed esattamente come i dati del pil, se non di più, mostra il passaggio di Pechino al ruolo di superpotenza mondiale. Il fatto che la prima base cinese sia installata in Africa testimonia inoltre l’importanza strategica del continente per Pechino, che lì ha investito 40 miliardi di dollari negli ultimi 15 anni.

 

[**Video_box_2**]La Cina da tempo sta cercando di equilibrare la sua enorme influenza economica a livello mondiale con la sua scarsa presenza militare. Dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre e l’inizio di una nuova fase della guerra al terrore, Pechino ha risposto insistendo su temi interni, come il contrasto al terrorismo della minoranza musulmana della regione dello Xinjiang. Il dibattito interno è diventato molto acceso dopo che lo Stato islamico la settimana scorsa ha ucciso brutalmente il primo ostaggio cinese e che un attacco jihadista all’hotel Radisson Blu di Bamako, in Mali, ha fatto alcune vittime provenienti dalla Cina. Secondo gli esperti, Pechino ha scarso interesse a partecipare alla guerra globale al terrore, ma anche volendo manca delle capacità, a livello di disponibilità logistiche, di basi e di alleanze strategiche, per portare avanti una campagna militare di ampie proporzioni così lontano dai suoi confini. Xi Jinping sta cercando (forse) di risolvere il problema.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.