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Tra virgolette

Bruxelles è un sepolcro imbiancato, scintillante fuori e putrido dentro

Walter Russell Mead
Nella sua inquietante opera “Cuore di tenebra”, Joseph Conrad definì Bruxelles la città dei sepolcri imbiancati. La realtà che si fa beffa delle nostre aspirazioni. Per American Interest, Bruxelles è l’occidente di domani.

Nella sua inquietante opera “Cuore di tenebra”, Joseph Conrad definì Bruxelles la città dei sepolcri imbiancati. L’espressione deriva dal Nuovo testamento: fu Gesù a dire che gli ipocriti capi religiosi e delle comunità di allora assomigliavano a delle tombe imbiancate. Brillanti e luminose all’esterno, ma piene di putridume e decadimento al loro interno.

 

Conrad coniò questa espressione riferendosi al Belgio sotto il malvagio re Leopoldo II, che instaurò un regime brutale in Congo. Prendendo parte al sanguinario regime di Leopoldo e alle sue pratiche di sfruttamento, le élite commerciali, politiche e culturali di Bruxelles si comportarono da ipocriti della peggior specie. E la frase, seppur con un significato diverso, appare appropriata anche per la Bruxelles di oggi: una città che si presenta all’esterno con una facciata scintillante, fatta di istituzioni internazionali e di alti valori, mentre le sue interiora si deteriorano alle prese con il disfacimento sociale e il sanguinario culto della morte esploso davanti agli occhi del mondo la scorsa settimana a Parigi. Nessun’altra città si identifica di più con i nostri ideali post moderni e post storici di governance cosmopolita. La Nato e l’Unione europea hanno le loro basi a Bruxelles. Da qui partono gli avvertimenti nei confronti dei leader e dei paesi più arretrati in Europa e altrove. E’ qui che migliaia di eurocrati lavorano duramente per un futuro post storico, è qui che i valori e le aspirazioni dell’occidente si manifestano in istituzioni concrete. Insomma è questa, sotto molti aspetti, la capitale d’Europa. E questa è anche la capitale del mondo post storico. Nel lontano 1990 visitai la città e un mio amico mi portò alla bellissima Grand Place, il cuore dell’amministrazione nel centro storico della città. Da un lato, egli richiamò la mia attenzione su un delizioso ristorante di lusso: quello, mi disse, nel Diciannovesimo secolo era uno sciatto bar per operai, ed è lì che Friedrich Engels e Karl Marx si incontrarono per redigere il “Manifesto” del partito comunista. Dall’altro lato della piazza, egli mi indicò un negozio di cioccolato Godiva. Fu lì, disse, che la divisione Charlemagne delle SS reclutò i belgi “ariani” per aiutare Hitler nella guerra contro i sovietici. Questo era, nel concreto, il mondo post storico. Nessun comunismo, nessun fascismo, ma solo shopping di lusso. Questo è il mondo che gran parte dell’occidente pensava stesse costruendo; ma non è il mondo dove noi viviamo oggi. La mecca turistica della Grand Place, le istituzioni dell’Ue e della Nato: queste costituiscono la superficie laccata, lo straordinario aspetto esteriore della città contemporanea; mentre il suo interno bolle di odio e di fanatismo, resi ancora più efficaci e virulenti da cronici fallimenti di governo. Il lungo stallo tra i fiamminghi (di lingua olandese) e i valloni (di lingua francese) hanno reso il Belgio, e in particolare Bruxelles, un caos.

 

(…) Una soluzione di compromesso è stata quella di dividere il potere in tanti distretti e comunità; come ricorda il New York Times, 19 zone municipali sono divise in sei “aree” di polizia che coprono una città di un milione di abitanti. Il risultato è che molte parti della città sono controllate a fatica dalla polizia. Nel frattempo, a dispetto delle alte aspirazioni sociali e della grande retorica sull’integrazione e sull’opportunità pronunciate da quegli europei che tessono con entusiasmo le lodi dei propri modelli sociali, in qualche modo, generazione dopo generazione, gli immigrati continuano a ristagnare in un’atmosfera deleteria fatta di esclusione, disoccupazione e crimine.

 

I fallimenti di Bruxelles sono emblematici dei fallimenti dell’Europa. La città che aspira a governare un’Europa post nazionale è stata resa impotente dalle futili gelosie e dalle maligne rivalità di due gruppi etnici, grandi a malapena per potere essere qualificati come tribù in gran parte del mondo. Bruxelles costituisce per certi versi la satira del progetto europeo: devoto a obiettivi transnazionali, azzoppato da irrisolti litigi etnici. Una città dedita ai valori umani universali e secolari ora minacciata da fanatici culti della morte, cresciuti nei suoi miseri e insicuri bassifondi.

 

L’occidente nel suo complesso è viziato da grandiosità morale e da performance fallimentari. Raramente la nostra autostima è stata più solida, e la nostra performance più misera. Ci trastulliamo con ciò che crediamo sia l’ultima opera incompiuta dell’implementazione di un egualitarismo universale, come per esempio l’occuparsi degli studenti di scuola superiore che si identificano in un genere diverso da quello con cui sono nati, assicurandoci che essi possano usare la toilette verso la quale sono condotti dalle loro aspirazioni. Raffiguriamo noi stessi come dei guerrieri coraggiosi, anche se le fondamenta del nostro mondo stanno cominciando a crollare. Sosteniamo che la tolleranza e la diversità costituiscono i riferimenti della nostra civiltà, ma abbiamo cresciuto una generazione di rammolliti che non riescono a sopportare l’idea di essere esposti a idee non ortodosse, o al trambusto e ai conflitti che la vita in una società variegata inevitabilmente produce. Per citare un’altra condanna di Gesù nei confronti dell’ipocrisia, “paghiamo la decima della menta, dell’aneto e del comino, e trascuriamo le cose più importanti della legge”. In altre parole, ci impegniamo ossessivamente in piccole e noiose questioni, e ignoriamo le sfide ben più gravi che ci fronteggiano da ogni lato.

 

Bruxelles questa settimana è stata paralizzata dai suoi fallimenti. La metropolitana è chiusa; la città si ritrova in un completo coprifuoco di sicurezza, inclusa la scintillante Grand Place; le scuole domani (lunedì, ndt) rimarranno chiuse. I suoi cittadini, rintanati in casa, contemplano con imbarazzo quel nemico che il fallimento delle politiche europee e la paralisi del Belgio hanno permesso di far crescere al suo interno. La Bruxelles di oggi è l’occidente di domani. A meno che non cambiamo direzione, ci ritroveremo sempre di più a vivere in un mondo in cui la realtà si prende gioco delle nostre aspirazioni, e dove l’imbiancatura delle nostre istituzioni non è più in grado di celare l’imputridimento al loro interno. Con ciò non si intende rendere i cittadini di Bruxelles oggetto di particolare condanna. Noi tutti dovremmo stare dalla loro parte in questi tempi di paura; i nostri pensieri e le nostre preghiere vanno alle forze di sicurezza che stanno  lavorando per mantenere i propri cittadini al sicuro. Abbiamo commesso pure noi i loro errori, e i pericoli che ora li minacciano, minacciano anche noi.

 

Gesù, mentre predicava, giunse in un luogo che mostrava il genere di grandiosità morale così comune nel mondo occidentale di oggi. Il fiorente villaggio sembrava credere di avere in riserbo per sé una sorta di destino speciale, ma Gesù non fu impressionato: “E tu, o Cafarnao, che sei stata innalzata infino al cielo, sarai abbassata fin nell’inferno”. Lo scorso fine settimana Bruxelles ha avuto una piccola dimostrazione di cosa significhi tutto ciò, e noialtri dovremmo prestare attenzione.

 

 

Walter Russell Mead – quelli pubblicati sono stralci di un suo saggio apparso sulla rivista The American Interest

 

(Traduzione a cura di Ermes Antonucci)

 

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