Alcuni protagonisti degli scontri in Sud Africa con gli stranieri

Pogrom xenofobi contro gli stranieri: in Sud Africa è caccia agli immigrati

Maurizio Stefanini
Il Malawi invita i suoi cittadini ad abbandonare il paese. Le parole di un re zulu e del figlio del presidente Zuma incitano all’odio contro gli stranieri. E nel paese ci si comincia ad armare.

Nel paese che si è liberato dall’apartheid è iniziata la caccia agli immigrati. “Tornate a casa!”, è stato l’ordine che lunedì il governo del Malawi ha dato ai suoi cittadini residenti in Sud Africa. E non si è limitato a dirlo, ma ha pure avviato un’operazione di rimpatrio a proprie spese dopo gli ultimi episodi di violenza xenofoba partiti da Durban e che si sono estesi alle città vicine causando cinque morti, tra cui un ragazzino di 14 anni. Il Malawi è il primo paese africano a prendere una decisione del genere ma è probabile che altri lo seguiranno a breve. Tra le ultime quattro vittime, venerdì c’è stato anche un cittadino etiope, il cui negozio è stato incendiato a colpi di Molotov da una folla inferocita. Dei 250 stranieri che sono stati aggrediti in seguito agli ultimi moti di protesta, la gran parte proviene dalla Repubblica Democratica del Congo. 5 mila persone sono state costrette a fuggire dalle proprie abitazioni date alle fiamme, come i loro negozi.

 

A scatenare l’ira popolare è stato un discorso di Sua Maestà Goodwill Zwelithini kaBhekuzulu: il re degli Zulu, nono sovrano della dinastia iniziata nel 1816 dal “Napoleone zulu”, Shaka kaSenzangakhona. Ovviamente il regno dei suoi avi ormai è parte della Repubblica sudafricana, con il nome di Provincia del KwaZulu-Natal . Ma a Godwill passano uno stipendio e onori ufficiali, e in modo informale il “Napoleone zulu” ha ancora una notevole influenza su un’etnia che è la prima per numero tra quelle sudafricane, a cui appartiene lo stesso presidente Jacob Zuma. I pogrom contro gli stranieri si sono scatenati dopo che in un discorso il re aveva esortato gli immigrati a “tornarsene a casa”, per poi ridimensionare le sue parole dicendo che “era stato frainteso”, e che intendeva riferirsi solo ai “clandestini”. Ma nel frattempo il sangue era scorso, e gli edifici erano stati distrutti. “La situazione è tesa e quasi 360 malawiani sono bloccati dopo aver perso tutto, perfino i loro passaporti”, si è lamentato il ministro delle Informazioni del Malawi, Kondwani Nankhumwa. Tre mesi prima, peraltro, altri moti xenofobi si erano verificati a Soweto, la township di Johannesburg, già icona della lotta anti-apartheid. Il ricorso al collare di fuoco, un metodo di esecuzione che consiste in un copertone incendiato messo attorno al collo della vittima, in passato usato contro i “collaborazionisti” dei bianchi, è tornato a diffondersi dopo il 2008 e a essere usato contro i neri venuti dal resto del Continente a cercare pane e lavoro nel paese che è la locomotiva economica dell’Africa. Sono state almeno 62 le vittime degli attacchi xenofobi che ci sono stati in Sudafrica negli ultimi sette anni.

 

[**Video_box_2**]La polizia è intervenuta per sorvegliare i campi provvisori in cui gli stranieri fuggiti dalle loro case sono ospitati; 50 persone sono state arrestate a Durban per aver preso parte alle violenze, mentre contro gli episodi di violenza xenofoba è stata organizzata una marcia. Sebbene le autorità dicano che la situazione è ora “sotto controllo”, in realtà molti stranieri si stanno armando per potersi difendere: molte foto li mostrano provvisti soprattutto di machete, accrescendo la nota barbarica e tribale del conflitto. D’altra parte, tra i membri dell’élite nera, arrivata al potere dopo la fine dell’apartheid, non c’è solo re Godwill ad avercela con i troppi stranieri. Da una parte, il governo ha riconosciuto che c’è “da vergognarsi” per gli attacchi agli stranieri, ma dall’altra si è trovato in grande imbarazzo quando uno dei figli dello stesso presidente sudafricano, Edward Zuma, ha detto che gli stranieri “si stanno prendendo il paese” e che il Sud Africa “è seduto su una bomba a orologeria”. Considerato dai vicini una sorta di ‘paese della cuccagna’, nel paese la disoccupazione è al 24 per cento e gli emigranti sono accusati di portare via il lavoro ai residenti locali.   

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