Il presidente e dittatore sudanese Omar al Bashir (foto Reuters)

Un altro dittatore che se la cava: Bashir in Sudan

Redazione
Le elezioni in Sudan iniziano oggi e dureranno tre giorni, fino a mercoledì. I risultati non si sapranno prima della fine del mese, il 27 aprile, ma l’esito è già conosciuto da tutti.

“Ci sono alcuni… che vogliono fare in Sudan quello che è successo in Yemen, in Siria e in Libia. Ma noi non lasceremo che questo accada al Sudan”. Il presidente e dittatore sudanese Omar al Bashir, alla vigilia delle elezioni nazionali, ha un’arma retorica potente da usare davanti agli scorni e alle proteste dell’occidente, ed è il tumulto che coinvolge il medio oriente e l’Africa islamica.

 

Le elezioni in Sudan iniziano oggi e dureranno tre giorni, fino a mercoledì. I risultati non si sapranno prima della fine del mese, il 27 aprile, ma l’esito è già conosciuto da tutti. Il principale partito d’opposizione del paese ha boicottato le urne in segno di protesta, e Bashir affronta una pletora di 15 candidati di 44 partitini minori. Ma anche con l’opposizione al suo massimo il risultato non cambierebbe, il Sudan è una dittatura e Bashir è al governo del Sudan da 35 anni. Le elezioni, che si tengono con ritmo periodico, sono semplicemente una cerimonia per celebrare il suo potere, e l’unico dato che può interessare gli analisti è l’affluenza alle urne – cosa che notoriamente non turba i dittatori.

 

Bashir è un dittatore sanguinario, è ricercato dalla Corte penale internazionale per il genocidio compiuto in Darfur, ed è uno degli obiettivi polemici preferiti delle campagne delle élite liberali – George Clooney e Mia Farrow hanno fatto del Darfur una campagna di livello mondiale appena pochi anni fa. La comunità internazionale ha già tolto la sua benedizione alle elezioni di questi giorni, il capo della diplomazia europea Federica Mogherini ha detto che le elezioni “non possono produrre un risultato credibile”, e anche gli Stati Uniti hanno inviato la propria protesta formale. Ma le proteste dell’occidente suonano più vuote del solito, perché anche il sanguinario Bashir oggi è a suo modo garante di una certa stabilità – terribile e non democratica – a cui l’occidente non vuole rinunciare.

 

Mentre il medio oriente è nel caos, e la strategia americana tentenna tra interventismo e riluttanza, e con il vicino Sudan del sud devastato dalla guerra civile, il Sudan di Bashir partecipa (con operazioni limitate) alla grande coalizione militare costituita dai sauditi per cacciare i ribelli sciiti Houthi dallo Yemen con la benedizione (e il sostegno logistico) dell’America. Così il Sudan di Bashir quasi si trasforma in un partner, anche se la stabilità che il dittatore garantisce è inaccettabile (e non così salda: Bashir sta combattendo un’altra insurrezione nelle regioni del Sud Kordofan e del Nilo Blu).

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