Jeremy Charles Robert Clarkson presenta il programma “Top Gear” sulla Bbc dal 1988 (foto Reuters/Peter Nicholls)

Lo scandalo dell'orco della Bbc

Giulio Meotti
Alla fine la Bbc ce l’ha fatta a cacciare Jeremy Clarkson. E’ stato licenziato il presentatore più pagato e di maggior successo– con il programma “Top Gear” – della televisione pubblica inglese, nonché editorialista del Sunday Times.

Alla fine la Bbc ce l’ha fatta a cacciare Jeremy Clarkson. E’ stato licenziato il presentatore più pagato e di maggior successo– con il programma “Top Gear” – della televisione pubblica inglese, nonché editorialista del Sunday Times.
L’ex presidente della Bbc Michael Grade aveva detto che alla Bbc “lottiamo per un giornalismo responsabile, di belle vedute”. Clarkson in effetti non era né responsabile né di belle vedute. La motivazione ufficiale del suo licenziamento è un pugno che Clarkson ha dato a un assistente di produzione. La verità è quella indicata da giornali e commentatori come il Telegraph: “L’élite bianca liberal dogmatica si è liberata di Clarkson”. Lo Spectator: “Sospettavo che i ‘fascisti’ liberal avrebbero preso Clarkson”.
Sono vent’anni che Clarkson rischia di essere bandito dagli schermi. Ieri anche la figlia del premier, Nancy Cameron, si è messa in sciopero della fame a favore di Clarkson. Decine di migliaia di persone nel Regno Unito hanno firmato appelli per riportarlo sullo schermo. Minacciano di non pagare più il canone se non rivedranno il loro beniamino in tv. Quattro milioni di telespettatori in meno (l’ottanta per cento del prime time domenicale sul secondo canale della Bbc): tanto è costata alla rete inglese la sospensione del conduttore-star.

 

Di solito i conduttori sono licenziati a causa del basso share, non per le loro opinioni più o meno scorrette. Clarkson sì. E’ stato cacciato con la stessa velocità con cui per anni la Bbc ha coperto e difeso Jimmy Savile. Perché Clarkson ha massacrato il vittimismo generalizzato praticato dalla lobby intellettuale bene inserita nell’establishment, dove tutti sostengono ormai di avere diritto a qualche forma di risarcimento dalla vita, accampando come minimo un’infanzia infelice, e quindi il continuo ricatto da parte delle minoranze, etniche o sessuali.

 

Clarkson è stato, soprattutto, in perenne dissidio con l’idea che l’intrattenimento e la società dello spettacolo debbano ruskinianamente elevare e istruire, dare persino lezioni di democrazia. Scrive Brendan O’Neill che “odiare Clarkson è diventata la fissazione della pseudo liberal élite”. Dimenticate la stretta di mano segreta dei massoni; per entrare nelle “chattering classes” inglesi è necessario imparare un vasto, complesso sistema di cenni, ammiccamenti, opinioni condivise, e alzate di sopracciglia. Ma soprattutto è indispensabile odiare Clarkson. A sinistra, la repulsione per Clarkson era diventata un distintivo d’onore. In Inghilterra sono nati anche club “We hate Jeremy Clarkson” e indignarsi per Clarkson è comunissimo durante i “dinner parties” nei quartieri benestanti della capitale londinese, dove si lanciano discorsi di maniera, con una retorica virtuosistica, su qualsiasi argomento, e gli intellettuali scriventi e parlanti nel sistema dei media che rivendicano la tolleranza e praticano l’intolleranza, il vero suggello di pensiero politicamente corretto.

 

Se non fosse stato popolare, Clarkson lo avrebbero già sistemato a dovere. Purtroppo per loro cinque milioni di inglesi guardano il suo programma, 300 milioni di persone in tutto il mondo, portando cinquanta milioni di sterline nelle casse della Bbc. Un editoriale del Guardian aveva ammonito: “Clarkson non appartiene al servizio pubblico radiotelevisivo”. E ancora: “Gli orchi vanno bene, ma solo nelle fiabe”. Clarkson è tutto il contrario del dogma della sinistra culturale benestante e compiaciuta ebbra del post moderno e del lifestyle, ovvero l’idea che lo stato sia buono, che i poveri siano buoni, che le minoranze siano buone, che il libertinismo sessuale sia buono.

 

Le corsie preferenziali? “Non le capisco”, ha detto Clarkson. “Perché le persone povere devono raggiungere i luoghi più velocemente di me?”. Gordon Brown? “Un idiota scozzese che ci continua a dire che va tutto bene e che ha salvato il mondo e sappiamo che sta mentendo”. I lavoratori del settore pubblico che partecipano allo sciopero? “Vorrei prenderli e giustiziarli davanti alle loro famiglie”. Il ciclismo? Va da sé che gli fa schifo, perché “è visto come qualcosa di utile come arma di propaganda contro il capitalismo bancario, la libertà, il McDonald’s, l’ingiustizia, le aziende farmaceutiche svizzere, lo stupro e il progresso”.

 

Prima di essere cacciato, Clarkson era stato descritto come “il più grande balordo della nazione”. Dietro gli assalti del politicamente corretto contro Clarkson si cela l’intolleranza verso chiunque osi pensare o comportarsi in modo diverso per i piccoli ma influenti settori della società che decidono cosa è buono e giusto. A Oxford militanti dei buoni sentimenti gli tirarono una torta in faccia durante la consegna a Clarkson di una laurea honoris causa. La Bbc aveva appena dovuto presentare le sue scuse all’Ambasciata messicana a Londra perché nel programma di Clarkson i messicani erano stati chiamati “pigri balordi”, suscitando una valanga di proteste. Clarkson aveva detto in studio che il governo messicano non avrebbe protestato, dato che l’ambasciatore, secondo il presentatore, sarebbe rimasto “seduto con in mano il telecomando, a russare sul suo divano”.
Ci fu una volta in cui la Bbc venne accusata di maschilismo. Fiona Bruce era ospite di “Top Gear”. Doveva provare una city car nuova di zecca. Fu costretta a curvarsi per spingere l’auto e Clarkson, a microfono aperto, disse: “Nice bottom!” (bel didietro!). Apriti cielo: telefonate ed email inondarono la redazione della televisione pubblica inglese, che in uno dei suoi accessi di manierismo politicamente corretto aveva appena bandito la parola “girl” dagli schermi (troppo sessista).

 

[**Video_box_2**]Pochi giorni dopo Clarkson se la prese con le donne musulmane completamente velate: “Onestamente, il burqa non funziona. Ero in un taxi a Piccadilly, l’altro giorno, quando una donna in burqa attraversa la strada davanti a me, inciampa sul marciapiede e si vedono i reggicalze rossi”. Se non bastasse, mentre deve recensire una Jaguar si lascia andare a un commento “omofobico”: “E’ molto veloce e molto forte. E poi negli angoli otterrà la coda più facilmente di George Michael”.

 

Un po’ paradossale Clarkson lo è sempre stato, visto che il suo super stipendio veniva pagato dal contribuente inglese ma si dichiarava a favore dello small government: “Il governo dovrebbe costruire delle panchine nei parchi e basta. Per il resto lasciarci in pace”. Si è scagliato contro la messa al bando delle sigarette nei luoghi pubblici e della caccia alla volpe e aveva definito gli ambientalisti “ecomentalisti”.

 

L’Independent aveva organizzato persino un processo popolare contro Clarkson, enumerando i suoi “reati” e chiedendo ai lettori un verdetto, comprese le pene (come spedirli in campi di rieducazione ecologica e gay friendly).

 

Non passava settimana senza che qualcuno – o qualche gruppo – lo denunciasse. Per molte persone, semplicemente il fatto che Clarkson presentasse un programma di automobilismo come “Top Gear” era già di per sé una discriminante etica. Tessi l’elogio di un suv su una collina scozzese e avrai problemi a mantenere calma la folla in un tribunale.

 

Stephen Glover del Daily Mail ha scritto che Clarkson rappresentava tutto quello che la sinistra inglese, una certa sinistra almeno, detesta visceralmente. “E’ insopportabilmente di destra, politicamente scorretto e in favore di cose terribili come il capitalismo. La cosa peggiore di tutti è che milioni di persone lo considerano divertente”. Il laburista Andrew Miller aveva accusato Clarkson di “trasformare le autostrade in campi da gioco”. Per la verità Clarkson ha fatto infuriare anche alcune case automobilistiche, come la Bmw. Disse che una delle auto tedesche aveva il gps impostato soltanto sulla Polonia… Un’altra volta, tanto per farsi volere bene dai militanti dell’inclusione sessuale, Clarkson si lamentò del fatto che in televisione se c’era una donna eterosessuale bionda ci si sentiva in dovere di invitare “una lesbica musulmana”.

 

Ora che la Bbc si è liberata di questo trombone di destra, le coscienze saranno più libere, il pluralismo premiato in grande spolvero, la società dello spettacolo più accigliata.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.