Usama al Karimi, il leader dello Stato islamico nella città di Sirte in Libia, mentre parla in un video del gruppo

Due test per la Libia

Daniele Raineri
L’Eni scopre un ricco pozzo di gas a Tripoli e le milizie trovano la lista dei capi dello Stato islamico

Roma. Eni ha annunciato lunedì la “scoperta significativa” di un giacimento di gas naturale poco al largo della costa della Libia nella zona di Bahr Essalam – quindi nell’ovest che è controllato dal semi-governo di Tripoli. Durante il test di produzione il pozzo off-shore ha prodotto circa un milione di metri cubi di gas al giorno e i tecnici dell’azienda dell’energia italiana stimano che la produzione potrà assestarsi in futuro su oltre 1,5 milioni di metri cubi al giorno di gas (per avere un’idea della proporzione di questa scoperta: la domanda giornaliera di gas in Italia è poco inferiore ai sei milioni di metri cubi al giorno). “Il successo di questa esplorazione conferma ancora l’enorme potenziale delle riserve di gas libiche”, commenta Eni – e la questione diventa senza dubbio ancora più delicata adesso che si parla di intervento militare in Libia. Martedì il Wall Street Journal ha titolato sull’“accoglienza cauta” alle proposte del capo della diplomazia europa Federica Mogherini, da parte dei ministri degli Esteri dei paesi dell’Ue. Mogherini lunedì li aveva convocati a Bruxelles per discutere di operazioni (anche) militari in Libia e martedì ha detto che farà una proposta concreta per un “ruolo dell’Ue nella sicurezza libica” al più tardi nel prossimo incontro il prossimo venti aprile.

 

In Libia una milizia della città di Misurata, la katiba 166 (in arabo: brigata 166), si sta scontrando con lo Stato islamico nella zona di Sirte. La katiba 166 appartiene a quel grande assortimento di milizie anche islamiste che va sotto il nome di Alba libica (Fajir al Libi) ed è fedele al governo di Tripoli. Come tale, la katiba è nemica dell’altro semi-governo libico (quello di Tobruk) e del suo esercito comandato dal generale Khalifa Haftar e anche, per proprietà transitiva, dell’Egitto. Ma adesso è questa milizia del campo “islamista” – anzi, “meno islamista” – che in questo momento sta ottenendo i risultati migliori nella guerra allo Stato islamico, più del generale Haftar. Imbarazzante.

 

La brigata 166 dice di avere trovato una lista dei leader dello Stato islamico dopo gli scontri. Il gruppo estremista sta tenendo segreta la sua gerarchia in Libia – al contrario di quanto faceva in Siria nel 2013, dove gli incarichi di potere erano quasi pubblici. Per questo i frammenti di informazione trovati a Sirte potrebbero svelare i nomi dello stesso gruppo che tra le altre cose ha ucciso ventuno copti sulla spiaggia di Sirte, come mostra un video messo su Internet il 15 febbraio. Il leader si chiama Usama al Karamy e compare a volto coperto in alcune fotografie di propaganda, con addosso una giacca mimetica ispirata a quelle della marina americana e in testa il pakol, il copricapo di lana sghembo che portano i guerriglieri in Afghanistan.

 

[**Video_box_2**]Negli scontri è morto anche un leader dello Stato islamico chiamato“Abu Zakaria il tunisino”. Il suo vero nome era Ahmed Rouissi ed era un ricercato noto nella vicina Tunisia per due omicidi politici avvenuti nel 2013. Secondo l’inviato del giornale inglese Independent, tra i feriti dello Stato islamico c’è anche un ex generale di Gheddafi, tornato a Sirte dal suo esilio in Egitto per unirsi agli islamisti, come hanno fatto alcuni ufficiali baathisti in Iraq.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)