Bankitalia - foto via Getty Images

L'analisi

Cosa non torna nelle previsioni ottimistiche di Bankitalia sul pil

Giorgio Santilli

L’unica vera buona notizia per la macroeconomia è la frenata dell’inflazione, già nel 2024. Del resto, la previsione legata alla crescita è rimasta ferma anche per il 2025 e il 2026

È stato sottolineato lo scostamento delle nuove previsioni di Bankitalia sul Pil del 2024 da quelle del governo: 0,6% (0,8% senza la correzione per il numero di giornate lavorative) contro 1,2%, quasi a segnalare una certa severità rispetto alle ipotesi di crescita dell’esecutivo. Non è qui però la novità delle previsioni sulla crescita perché Bankitalia si è limitata a tenere fermo il Pil stimato a dicembre 2023. Semmai – ad andare dentro le componenti del Pil – si scopre che quello di Bankitalia sulla crescita è stato piuttosto un esercizio di ottimismo per gli anni a venire. La previsione del Pil è rimasta sostanzialmente ferma anche per il 2025 (1,0% anziché 1,1%) e per il 2026 (1,2% anziché 1,1%). Ma la variazione più macroscopica rispetto a dicembre è il crollo degli investimenti in costruzioni, che pure, a dispetto degli scettici, hanno pesato sul Pil negli anni passati: la previsione passa da un +1,7% a un -2,5% nel 2025 e da un +1,7% a un -0,8% nel 2026. Un taglio di 6,7 punti alle variazioni degli investimenti nel biennio: siamo andati a dormire con il sole – nonostante l’aria che tirava già sugli incentivi – e ci siamo svegliati con la burrasca. Inoltre, la nota dice che “il progressivo ridimensionamento degli incentivi alla riqualificazione delle abitazioni potrebbe tradursi in una correzione dell’attività nel comparto edilizio più marcata di quanto previsto”.
 

La spesa Pnrr è già scontata a compensare “in parte” questa ulteriore caduta dell’edilizia. Eppure, la previsione del Pil resta ferma. Perché altre componenti del prodotto compenseranno con una maggiore crescita rispetto alle stime di dicembre? In effetti, dice la nota, “si stima che la crescita del prodotto rimanga contenuta nel corso di quest’anno e si rafforzi in seguito, grazie alla ripresa del reddito disponibile e della domanda estera”. Dai numeri, però, le compensazioni dalla domanda estera non si vedono: le esportazioni totali erano +3,0% nel 2025 e +3,2% nel 2026 nelle previsioni di dicembre e diventano rispettivamente +2,9% e +3,1% in quelle aggiornate a oggi. Stabili, con tendenza al ribasso. Vediamo la domanda interna. Per i consumi variazioni di un decimale, mentre una buona crescita per il 2025 ci sarebbe negli investimenti in beni strumentali, la cui previsione cresce da +1,3% a +2,6% (ma nel 2026 si riduce da +2,0% a +1,3%). A giustificare i numeri sul Pil ci sono, dunque, aspettative considerevoli sullo sforzo di investimenti delle imprese. Ma la stessa nota commenta che “gli investimenti rallenterebbero marcatamente, frenati dal rialzo dei costi di finanziamento e da condizioni più rigide di accesso al credito”. Quanto ai fattori di rischio, che sono “orientati al ribasso”, persistono comunque sulla scena internazionale. “Una crescita più contenuta – scrive Via Nazionale – potrebbe manifestarsi se lo scarso dinamismo del commercio mondiale persistesse più a lungo, in connessione con l’incertezza che caratterizza la ripresa dell’economia cinese e con un eventuale aggravarsi delle tensioni politiche internazionali”.
 

Insomma, l’unica vera buona notizia per la macroeconomia è la frenata dell’inflazione, già nel 2024 (previsione da +1,9% a +1,3%). L’ottimismo è nell’inversione imminente della politica monetaria. Anche qui, però, niente illusioni: “L’impatto della restrizione monetaria potrebbe inoltre essere più accentuato del previsto e incidere più intensamente”.

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