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La revisione del Pniec può servire a rivedere i “Sussidi ambientalmente dannosi”

Carlo Stagnaro

L’Italia si è impegnata a tagliare tali voci di 2 miliardi di euro entro il 2025 e di altri 3 entro il 2030, ma nessuno sa come fare. La realtà è che la quantificazione, la designazione e l’eliminazione dei Sad poggiano su un censimento tanto efficace nella retorica quanto ingestibile nel mondo reale

Domenica si è chiusa la consultazione pubblica sulla revisione del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), il documento che spiega come il governo intende raggiungere gli obiettivi climatici europei entro il 2030. I quesiti riguardano sia l’impostazione generale del piano sia le specifiche misure. Una domanda si discosta però dalle altre perché investe una questione puramente politica: la riduzione dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad). L’Italia si è impegnata a tagliare tali voci di 2 miliardi di euro entro il 2025 e di altri 3 entro il 2030, ma nessuno sa come fare. 

Il problema, prima ancora che di volontà politica, è di sostanza. I Sad vengono quantificati dal ministero dell’Ambiente attraverso un catalogo biennale. L’ultima edizione conta 58 Sad per un controvalore teorico di 22,4 miliardi. Di questi solo una piccola parte (2,4 miliardi) sono sussidi diretti, che cioè “vanno a “premiare” ”Premiano” attività potenzialmente dannose per l’ambiente. La maggior parte sono sussidi indiretti, quali agevolazioni fiscali o aliquote Iva ridotte. Ciascun Sad è pensato per favorire specifici gruppi, a volte limitati (ad es. autotrasportatori o agricoltori per gli sconti sul gasolio), altre volte assai vasti. E’ il caso del differente trattamento fiscale tra benzina (72,8 centesimi al litro) e gasolio (61,7 cent): questi 11 cent di differenza sono considerati un sussidio implicito al gasolio. Tale gap di accisa dà luogo a un “sussidio” di 3,4 miliardi, che potrebbe essere eliminato alzando le accise sul gasolio al livello della benzina (come suggerisce il catalogo), riducendo quelle sulla benzina o fissando entrambe a un livello intermedio a parità di gettito (come propone l’Istituto Bruno Leoni). 

Come mostra questo esempio, la metodologia usata per il catalogo si fonda su una definizione di “sussidio” assai ampia. Altri sussidi conducono a esiti paradossali, perché danno per scontato un impatto ambientale negativo là dove la realtà è più sfumata. E’ davvero dannosa per l’ambiente l’Iva ridotta sull’acquisto di una casa nuova (2,6 miliardi per la prima casa)? Il credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali nel Mezzogiorno (1,7 miliardi)? E che dire dell’esenzione dall’accisa e l’Iva ridotta sui consumi domestici di energia elettrica (2,4 miliardi)? Quest’ultimo incentivo, bollato come dannoso, dovrebbe essere qualificato come favorevole all’ambiente: se l’elettrificazione degli usi finali è uno dei pilastri della strategia di decarbonizzazione, in che modo una politica che incoraggia l’uso dell’elettricità (a scapito di altri vettori energetici) può essere nociva per l’ecosistema?

L’esame del catalogo spiega perché, da anni, le proposte di riduzione dei Sad vengono enunciate in termini generali, ma raramente si traducono in provvedimenti concreti. Se si prende sul serio la sfida del Catalogo, da un lato si rischia di sortire effetti perversi proprio dal punto di vista ambientale, dall’altro di suscitare proteste come quelle dei gilet gialli. E questa è anche la ragione per cui uno dei pochi tentativi di cancellare i Sad, il progetto presentato da Ultima Generazione al ministro Gilberto Pichetto Fratin, non ha sortito alcuna conseguenza concreta: persino il verde Angelo Bonelli ne ha preso le distanze. Soltanto il Pd ha aderito all’idea di aumentare le accise sul gasolio, salvo poi protestare contro la giusta scelta di Giorgia Meloni di porre fine agli sconti temporanei decisi durante la crisi energetica. 

La realtà è che la quantificazione, la designazione e l’eliminazione dei Sad poggiano su un censimento tanto efficace nella retorica quanto ingestibile nel mondo reale. Ciò non significa che non vi siano enormi distorsioni nel disegno della fiscalità energetica italiana ma che il Catalogo, per come è fatto, non è utile a raggiungere il risultato. Infatti, in quasi dieci anni non ha prodotto alcun esito: è stato grimaldello di polemica politica ma non strumento a supporto delle politiche pubbliche. Per questa ragione, il governo dovrebbe confermare il suo impegno a ridurre i Sad, ma farlo precedere da una revisione del Catalogo stesso, anche attraverso una più specifica consultazione pubblica. Infatti, alcune associazioni ambientaliste (Legambiente su tutte) hanno elaborato proprie metodologie alternative, che meriterebbero di essere approfondite e che soprattutto dovrebbero portare i proponenti a indicare quali Sad ritengono vadano eliminati, quale impatto ciò potrebbe avere sul bilancio pubblico e sulle scelte di imprese e consumatori, e in quale modo e con quali tempistiche si potrebbe raggiungere il risultato. E’ giunto per il governo di fare di necessità virtù, rendendo il Catalogo più operativo e meno ideologico.

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