Il ministro Raffaele Fitto (foto LaPresse)

Fitto apre il fronte con le regioni sui fondi di coesione

Giorgio Santilli

Sinergia col Pnrr, centralizzazione e sanzioni per evitare ritardi sulla spesa. Ma i governatori si ribellano

Raffaele Fitto ci riprova. Mentre tenta con il Mef di spegnere l’incendio divampato con vari ministri (Salvini in prima fila) per i tagli agli investimenti inseriti nel decreto legge Pnrr 4, apre anche un altro fronte, con le regioni, sulla riforma della politica di coesione e sulla destinazione dei fondi europei 2021-2027 (43,1 miliardi che raddoppiano con il cofinanziamento nazionale). Il ministro per l’Europa e il Sud è riuscito infatti a inserire nella revisione del Pnrr una milestone al 31 marzo con cui imporrà un decreto legge per una riforma radicale delle procedure dei fondi strutturali. E non vuole perdere tempo: alla commissione che ha insediato a dicembre con le regioni ha consegnato la settimana scorsa una prima nota di quattro pagine in cui spiega come dovrà essere la riforma. Se ne sta parlando in queste ore. 

Nella proposta non ci sono solo scorciatoie procedurali, poteri sostitutivi affidati a se stesso e sanzioni per le amministrazioni in ritardo; c’è anche il tentativo di rivedere gli accordi di partenariato firmati dalle singole regioni con Bruxelles. Sono gli accordi che distribuiscono i fondi tra piani e progetti, le casseforti con i soldi dentro. L’obiettivo di Fitto è collegare questi piani al Pnrr. Non solo collegamento di metodo, che importa qui “l’approccio performance-based sperimentato con successo nel Pnrr”, “con obiettivi da realizzare secondo tempistiche certe”. Punta anche, più concretamente, al “finanziamento di progetti inseriti in graduatorie esistenti nell’ambito del Pnrr e non finanziati in questo ambito”.

Ecco dunque il ponte diretto fra l’incendio attuale (con i ministri) e quello prossimo venturo (con i governatori del sud): se dal confronto con i ministri non dovessero arrivare tutte le risorse necessarie per rifinanziare i progetti stralciati dal Pnrr, le stesse risorse si potranno cercare nell’ambito della politica di coesione, cioè degli accordi che le regioni firmano con Bruxelles, finora senza mediazione governativa se non un quadro programmatico generale.

Quello inserito da Fitto nel Pnrr è un grimaldello centralista che scardina gli assetti tradizionali della politica di coesione. Tant’è che anche la commissaria europea alle Politiche regionali, Elisa Ferreira, poi scavalcata con il Pnrr, aveva sentito a dicembre, dopo un incontro con Fitto, l’esigenza di ricordare in un comunicato che i fondi di coesione, pur con le dovute sinergie al Pnrr, restano “misure basate sul territorio, sul rafforzamento della capacità amministrativa, sulla titolarità locale e sul partenariato”. La battaglia di Fitto si legittima con i numeri dei soliti ritardi che da trenta anni affliggono la politica di coesione italiana. Sulla programmazione 2014-2020 la spesa certificata è al 31 dicembre 2023 ferma a 34,2 miliardi, “con un residuo da richiedere a rimborso del bilancio dell’Unione che si attesta a 13,6 miliardi di euro”. Siamo al 70 per cento di spesa contro una media Ue dell’85 per cento e al penultimo posto in questa classifica. 

Ma le regioni non sentono ragioni e sono già sul piede di guerra: hanno fatto circolare fra loro una prima nota informale, con l’obiettivo di fare fronte comune (e anche di non lasciare solo ai toni guasconi del campano De Luca la battaglia sui ritardi e sul rischio di scippo governativo). I governatori condividono l’intenzione di accelerare l’attuazione dei programmi europei e ricordano la proposta della Conferenza delle regioni del 20 dicembre scorso: semplificazioni di procedure per rimuovere i tappi delle solite amministrazioni del no (a partire dalle Sovrintendenze). 

Quanto alla proposta di Fitto, quella delle regioni è una bocciatura secca, ricordando che le procedure codificate nei regolamenti Ue della coesione sono molto diverse da quelle del Pnrr e non possono confuse o aggirate. L’inserimento degli “eventuali progetti Pnrr” dovrà “soddisfare interamente le condizioni di ammissibilità dei regolamenti, dell’accordo di partenariato, del programma di riferimento e i criteri di selezione approvati dai rispettivi comitati di sorveglianza”. Processo che ha bisogno dell’approvazione di Bruxelles e richiede non meno di quattro mesi. 

Le prossime riunioni chiariranno se ci siano margini di discussione o si andrà al muro contro muro. Le regioni sfidano il ministro a presentare il testo del decreto legge per portare il confronto su temi concreti. E ricordano che c’è sempre l’altro fronte, quello del Fondo sviluppo coesione (32,6 miliardi di euro) per cui non solo mancano gli accordi per distribuire i fondi alle grandi regioni del sud –  Puglia (4,6 miliardi), Campania (6,6 miliardi) e Sicilia (6,9 miliardi) – ma anche gli accordi firmati finora non hanno valore se non formalizzati con delibera Cipess.

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