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Per la Borsa un 2023 da primato. Ma non è merito del governo

Lorenzo Borga

La crescita è arrivata soprattutto dalle banche che Meloni aveva intenzione di tassare e dalle mosse della Bce che i suoi ministri hanno sempre criticato

In un anno di rallentamento economico, la maggioranza di governo ha cercato e trovato nell’andamento della Borsa italiana il dato che le serviva per dimostrare i propri risultati sull’economia. L’indice azionario di riferimento di Milano – il Ftse Mib – ha infatti ottenuto uno spumeggiante rialzo di oltre il 28 per cento nel corso del 2023. Giorgia Meloni e i suoi ministri ostentano in ogni occasione questo risultato, attribuendosene il merito. Ma il successo della Borsa italiana è in realtà lì a dimostrare l’inconsistenza della politica economica di questo primo anno di governo.

 

In effetti la performance del Ftse Mib ha battuto ogni attesa. Milano ha superato sia Wall Street (S&P 500 +25 per cento) che la media delle borse europee (Eurostoxx 50 +19 per cento), facendo meglio anche delle piazze di Parigi e Francoforte. Un risultato straordinario per una Borsa che ha invece arrancato non poco nell’ultimo decennio: anche tenendo conto dei dividendi staccati dalle società, Milano negli ultimi dieci anni è stata surclassata dai principali indici americani ed europei (perché, checché se ne dica, finanza ed economia nel lungo periodo non possono che andare a braccetto). Viene dunque da chiedersi la ragione di un’annata tanto positiva. E la risposta non è lusinghiera per il governo Meloni.

 

Per comprendere la vera ragione di questo successo bisogna capire cosa contiene il principale indice azionario italiano. Il Ftse Mib è composto infatti dalle 40 principali società quotate in Italia. Ebbene, una su quattro è una banca, e spesso si tratta anche delle società più grandi (Unicredit è il secondo titolo per peso nell’indice, Intesa Sanpaolo il terzo). La rilevanza degli istituti di credito sull’indice azionario italiano non trova eguali: il settore finanziario – assicurazioni incluse – incide per oltre un terzo sul Ftse Mib, mentre si ferma attorno al 10 per cento a Parigi e New York e sotto al 20 a Londra e Francoforte. Il risultato è chiaro: quando il settore finanziario ha il vento in poppa, Milano corre più delle altre borse (e il contrario). E non sfuggirà che nel 2023 qualunque banca in Europa ha registrato utili record grazie al rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea. Prestare denaro è tornata a essere improvvisamente un’attività molto redditizia. E i titoli azionari delle banche hanno festeggiato (tra i migliori in Italia Unicredit +84 per cento, Bper +52, Mps +51 e Bpm +37 punti percentuali). Con un rapido calcolo, incrociando questi rialzi con il peso dei rispettivi titoli sul Ftse Mib, si può dedurre che circa un terzo del rialzo della Borsa italiana sia imputabile alle performance delle banche, spinte dai tassi della Bce. E se vogliamo essere precisi, la quasi totalità del contributo è arrivata da due titoli, quelli di Intesa e di Unicredit, che con il loro peso da soli hanno fatto guadagnare al Ftse Mib oltre 10 punti percentuali.

 

Giorgia Meloni dovrebbe dunque essere preoccupata dal risultato della Borsa italiana, non farsene un vanto. La crescita è arrivata soprattutto da quelle banche che lei aveva intenzione di tassare – prima di fare retromarcia in Parlamento – e dal rialzo dei tassi di interesse della Bce che i suoi ministri hanno sempre apertamente criticato. Il +28 per cento guadagnato dal Ftse Mib è un sintomo che l’azione del governo Meloni – volta a tassare i “margini ingiusti” delle banche e portare il consiglio direttivo della Bce su posizioni più moderate – è fallita.

 

La triste verità è che il governo italiano, ogni governo italiano, appare sostanzialmente irrilevante sulla crescita della Borsa, specie nel breve periodo. Per incidere servirebbero lunghi anni di riforme e riconoscimenti internazionali, ma la breve durata degli esecutivi in Italia ha quasi sempre reso impossibile la sfida. Al contrario, per perdere la fiducia dei mercati e provocare un crollo degli indici bastano poche parole: è sufficiente, per esempio, l’annuncio nottetempo di un’imposta del 40 per cento sui margini di interesse delle banche, oppure – andando qualche anno più indietro nel tempo – la promessa di portare l’Italia fuori dall’euro.

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