Editoriali

Non bocciati ma rimandati: cambia poco. Il giudizio dell'Ue sulla manovra

Redazione

Lo "squilibrio" e le carte di Meloni. Da Bruxelles un "invito a politiche di bilancio prudenti e a un pieno uso delle risorse del Pnrr", dice Paolo Gentiloni

Bocciata la Francia, promossa per il rotto della cuffia l’Italia che dovrà fare corsi di recupero di qui alla prossima primavera. La metafora scolastica applicata al giudizio della Commissione europea sulle leggi di bilancio dei paesi membri mostra che Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti possono tirare un sospiro di sollievo, mentre Emmanuel Macron e Bruno Le Maire dovranno rimettere mano alla loro manovra di politica fiscale. La Francia è stata considerata “non in linea” con le raccomandazioni della Commissione, lo stesso vale per Belgio, Finlandia e Croazia. L’Italia, invece, “non è pienamente in linea” e condivide il giudizio con Germania, Austria, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Olanda, Portogallo e Slovacchia. A pieni voti soltanto Spagna, Grecia, Cipro, Estonia, Irlanda, Slovenia e Lituania. Per l’Italia “non si tratta di una bocciatura – ha commentato il commissario Paolo Gentiloni – ma di un invito a politiche di bilancio prudenti e a un pieno uso delle risorse del Pnrr”. Insomma, il governo deve “tenersi pronto” ad adottare tutte le misure necessarie. La Commissione, invece, invita i paesi non linea a rivedere il bilancio anche se non intima loro in modo esplicito di varare manovre correttive. Le raccomandazioni Ue all’Italia per il 2024 chiedevano di limitare l’aumento della spesa primaria che, per colpa del Superbonus, nel 2023 è stata superiore alle attese. Tenendo conto dello “scenario di base”, il conseguente tasso di crescita nel 2024 “sarebbe superiore al tasso di crescita raccomandato, dello 0,6 per cento del pil”. “Accogliamo il giudizio della commissione – ha dichiarato Giorgetti – Tutto come previsto: nonostante l’eredità dell’impatto negativo di energia e Superbonus andiamo avanti con sano realismo”. 

Dopo le pagelle delle agenzie di rating, era davvero improbabile un parere negativo da parte della Commissione: avrebbe creato una pericolosa contraddizione destinata a provocare effetti distorsivi sui mercati finanziari. Resta comunque il fatto che l’Italia si trova di nuovo in “squilibro macroeconomico”. Il punto più dolente resta la spesa primaria (cioè al netto degli interessi pagati sul debito) che viola le raccomandazioni per mezzo punto di pil. Ma incidono anche il costo dell’energia e il rallentamento della crescita: il governo prevede  per l’anno prossimo più 1,2 per cento del pil, la Commissione più 0,9 per cento con un disavanzo del 4,4 per cento e un debito del 140,6 per cento, superiore di mezzo punto a quanto previsto dal governo. L’Italia inoltre ha fatto “deboli progressi” strutturali quindi la Commissione “invita ad accelerare”. Il riferimento è al lento passo delle riforme, a cominciare da quella sulla concorrenza bloccata dal groviglio dei balneari. Non sono soddisfacenti nemmeno le misure fiscali: gli interventi previsti nella bozza di bilancio “sono abbastanza limitati e non affrontano l’erosione della base imponibile che è stata ridotta ulteriormente l’anno scorso con l’estensione della flat tax per i lavoratori autonomi”, scrive la nota. E aggiunge: “Oltre tutto, frequenti cambiamenti delle politiche fiscali aumentano l’incertezza economica, rendendo il sistema più complesso e aumentando l’onere per le famiglie e le imprese rispettose”. Non tutto va bene, insomma, Madame la présidente. 

Il giudizio della Commissione può avere un effetto anche sul braccio di ferro in corso per riformare il Patto di stabilità. Ha ancora senso la divisione tra paesi del nord frugali e quelli del sud spendaccioni, quando la Francia ha un deficit del 5 per cento e un debito del 110 per cento, la Germania e l’Olanda sono rimandati insieme all’Italia, mentre splende il sole sulla Spagna e sulla Grecia? Giorgia Meloni ha una carta in più da giocarsi già domani nell’incontro con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. All’ordine del giorno ci sono soprattutto questioni roventi come la gestione dei migranti, la guerra in Ucraina e quella a Gaza, ma anche lo scambio, proposto dal governo di Roma, tra approvazione del Mes e una riforma del patto che escluda un percorso di aggiustamento troppo rigido, accettando l’insistenza tedesca per una percentuale fissa di riduzione annua del debito pubblico sul pil, pari almeno a mezzo punto. Attenti, dunque, a cosa uscirà da Berlino.