il record

La Commissione smonta tutti i numeri del governo Meloni sul debito pubblico

Luciano Capone

L’Italia sarà penultima in Eurozona per crescita del pil e prima per crescita del debito. Bruxelles passa al setaccio le ipotesi ottimistiche e irrealistiche della manovra, con riflessi preoccupanti per l'Italia sul nuovo Patto di stabilità

Per tutto il 2023 il governo Meloni ha ripetuto che l’Italia “cresce più della media europea”. L’affermazione sarà vera anche per il 2024, ma cambiando parametro: non più il pil, ma il debito pubblico. Secondo le previsioni d’autunno della Commissione europea, l’Italia sarà penultima nell’Eurozona per crescita economica: +0,9 per cento. Leggermente peggio faranno solo la Germania e la Finlandia con un +0,8 per cento, a fronte di una media europea del +1,3 per cento. Nel 2025, poi, con un +1,2 per cento, l’Italia sarà ultima. Ciò che invece crescerà più della media europea, secondo la Commissione, è il debito pubblico: dal 139,8 per cento del pil del 2023 al 140,9 per cento nel 2025.

 

A guardare questo scenario, la manovra che stanno difendendo Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti non appare così “prudente”. La “prudenza” è visibile solo rispetto alle promesse elettorali, alla pressione dei partiti di maggioranza ad allargare i cordoni della borsa e alle accuse di “austerità” provenienti dalle opposizioni, ma rispetto allo scenario internazionale pieno di incertezza e possibili shock la posizione fiscale dell’Italia non è appropriata, per usare un eufemismo.

 

Le previsioni della Commissione divergono rispetto al quadro programmatico presentato dall’Italia nel Documento programmatico di bilancio sul dato della crescita che per il governo nel 2024 sarà pari all’1,2 per cento mentre per Bruxelles si fermerà allo 0,9 per cento. Per quanto riguarda il deficit, il governo prevede il 4,3 per cento mentre Bruxelles il 4,4 per cento. Le differenze nelle stime sono maggiori per il 2025, visto che la Commissione europea prevede una proroga del taglio del cuneo fiscale – come peraltro promesso dal ministro Giorgetti – che quindi fa salire il deficit al 4,3 per cento dal 3,6 previsto dalla legge di Bilancio. Questo scenario rende molto meno credibile, senza una politica fiscale restrittiva, l’impegno del governo Meloni di ricondurre nel 2026 il disavanzo entro il limite del 3 per cento del Patto di stabilità.

 

Ma i dati più preoccupanti, almeno per i mercati, riguardano il debito pubblico. Mentre nei prossimi due anni Roma lo vede stabile attorno al 140 per cento, Bruxelles lo vede crescere di oltre un punto fino a sfiorare il 141 per cento. E’ ovviamente una tendenza preoccupante, soprattutto in una fase di tensioni geopolitiche e di aumento dei tassi di interesse.

 

Soprattutto in confronto a ciò che accade nel resto dei paesi europei. Alla fine del 2025, sottolinea la Commissione europea, la maggior parte degli stati membri avrà un rapporto debito/pil inferiore a quello del 2022 – e così sarà anche per l’Italia, ma solo di un punto. Per i paesi cosiddetti periferici si registreranno le riduzioni del debito più consistenti: -25 punti per la Grecia, -19 punti per Cipro, -15 punti per il Portogallo, -5 punti per la Spagna. Nel prossimo biennio, mentre il debito italiano crescerà di un punto, quello portoghese si ridurrà di oltre 6 punti scendendo sotto il 100 per cento, mentre quello greco calerà di 13 punti. A questo ritmo, nel 2026 potrebbe esserci il “sorpasso”, cioè il rapporto debito/pil dell’Italia potrebbe superare quello della Grecia diventando il più alto d’Europa.

 

Le previsioni della Commissione sono, in sostanza, una smentita del quadro programmatico presentato dal governo che riesce a stabilizzare il debito solo con previsioni di crescita ottimistiche, un piano di privatizzazioni da 20 miliardi poco credibile e un’irrealistica fine delle del taglio del cuneo fiscale nel 2025. E sono il preludio all’apertura di una procedura per deficit eccessivo nella prossima primavera, in cui l’Italia sarà probabilmente in grande compagnia e questo dovrebbe evitare uno stigma da parte dei mercati.

 

Il problema dell’Italia con l’Europa non riguarda questa legge di bilancio, ma è più ampio. Coinvolge un altro tema in discussione in queste settimane, che è appunto la revisione del Patto di stabilità e quindi le regole per i prossimi anni. Le trattative in Europa proseguono e pare che Germania e Francia siano ormai vicine a un accordo, una sorta di via di mezzo tra la proposta originaria della Commissione e la linea di Berlino che pretende una riduzione quantificabile del debito. L’asse franco-tedesco su un aggiustamento minimo del debito, magari flessibile e spalmato su un arco pluriennale (anziché un numero fisso annuale), blinderebbe l’accordo sulle nuove regole. L’Italia troverebbe insoddisfatte le proprie richieste di maggiore ulteriore flessibilità e scorporo di varie spese.

 

La posizione del governo Meloni, che si è già autoisolato sulla ratifica del Mes, è d’altronde indebolita dalla sua fiscal stance: non esiste, e non potrebbe esistere, un set di regole fiscali che possa consentire a un paese come l’Italia, con il debito pubblico al 140 per ceno, in una fase leggermente espansiva e sicuramente non recessiva, di continuare ad avere un deficit superiore al 4 per cento e un debito che continua a crescere.

 

Ogni discorso sull’austerità e sulla flessibilità si ferma di fronte a questi numeri. A meno che non ci sarà una crescita sorprendente, superiore a quella stimata dal governo, l’Italia sarà costretta a una politica fiscale restrittiva. A prescindere da quale sarà il nuovo Patto di stabilità.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali