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l'analisi

Cgil e Uil cedono, ma il loro approccio anti istituzionale resta. Un guaio

Oscar Giannino

E' vero che lo sciopero è tutelato dalla Costituzione. Ma sulla sua legittimità vigila un Garante che non dovrebbe essere oggetto degli strali dei sindacati e dell'opinione pubblica

Cgil e Uil hanno accettato di ridurre a 4 ore lo sciopero nei trasporti pubblici venerdì prossimo. Bene così, il rispetto delle norme ha prevalso. Ma è molto preoccupante, quanto avvenuto nei giorni precedenti. Per la prima volta in moltissimi anni, infatti, due grandi confederazioni sindacali hanno adottato un atteggiamento anti istituzionale. Come se fossimo nel settembre 1904 e loro fossero il sindacalista rivoluzionario Arturo Labriola, il protagonista del primo sciopero generale italiano all’indomani della feroce repressione contro i minatori sardi che vide le truppe regie lasciare morti e feriti nelle vie di Buggerru. Ma non siamo nel 1904, né nel biennio rosso che sfociò nel sostegno di agrari e industriali al fascismo nascente. Nella nostra Repubblica il diritto allo sciopero è costituzionalmente tutelato. E, in attuazione della Costituzione, regolato da due leggi più volte nate guardando all’evolversi dei tempi, tanto è vero che disciplinarono e affinarono la disciplina dello sciopero nei settori pubblici essenziali, per contemperare il diritto di lavoratori e sindacati con quello dei cittadini e utenti. Una è la 146 del 1990, l’altra la 83 del 2000. L’Autorità Garante degli scioperi è figlia di queste norme, è indipendente dalla politica, le sono affidati poteri non di arcigna sanzione (le sanzioni monetarie sono risibili) ma di confronto preventivo per il rispetto della legge con i sindacati che proclamano le agitazioni, e di mediazione preventiva tra le parti datoriali e sindacali se gli scioperi sono proclamati per salari e contratti.

 

Molta giurisprudenza nei decenni ha distinto la piena attuazione del diritto costituzionale per scioperi indetti contro aziende o settori di aziende, rispetto a quelli invece proclamati su piattaforme eminentemente politiche, che ricadono in pieno nelle libertà (ergo nessuna perseguibilità penale o civile), ma non nella piena declinazione costituzionale del diritto di sciopero.  Si è accumulata poi una prassi pluridecennale su che cosa configuri uno sciopero generale e che cosa invece no, mentre la legge fissa gli intervalli temporali minimi di rispetto del diritto dei cittadini rispetto a scioperi a scacchiera e a singhiozzo nei servizi pubblici. Le confederazioni sindacali queste cose le sanno benissimo. Eppure questa volta hanno inizialmente fatto spallucce alle fondate obiezioni espresse con il dovuto anticipo da parte dell’Autorità Garante – il vostro non è uno sciopero generale perché moltissime categorie sono esentate, e il calendario di scioperi nelle diverse parti d’Italia viola le regole sull’intervallo minimo da garantire ai cittadini. Poi, la scorsa settimana, quando Salvini ha minacciato la precettazione, hanno risposto gettando altro cherosene sulla benzina del ministro, gridando alla violazione plateale del diritto di sciopero da parte del governo, hanno chiesto alla Meloni di pronunciarsi, hanno giurato che lo sciopero sarebbe rimasto com’era. Con vasto concorso dei media, molti dei quali pronti a riempire pagine indignate contro la svolta autoritaria in corso. La cagnara politica in Italia, si sa, domina sempre sul merito concreto delle cose. Senonché le intenzioni politiche di Landini e Bombardieri, come il calcolo del ministro che brandisce ogni occasione a fini politici, non sono il succo su cui concentrarsi. Cgil e Uil hanno commesso un errore molto grave, rispondendo al Garante che la loro piena libertà nel definire generale uno sciopero che non lo era, e con quel calendario territoriale, venisse prima della legge. Lo hanno fatto sapendo benissimo che Costituzione e leggi citate sono norme a tutela di tutti, e se il sindacato dichiara di stracciarle va a sbattere contro il muro. Hanno tacciato il Garante di essere una stampella del governo: i 5 membri dell’Autorità sono per legge nominati dal Quirinale su indicazione dei presidenti delle Camere ergo certo che c’è un’impronta politica, ma solo 2 membri su 5 attuali hanno in passato collaborato con esponenti del governo, gli altri 3 cioè la maggioranza sono giuristi di fama o con un cv di esperienze dirette di anni sui temi del lavoro.

 

Hanno persino ispirato ai media articoli in cui uni dei membri dell’Autorità, da sempre coerente al riformismo del compianto professor Marco Biagi, viene descritto come fosse membro di una accolita di schiavisti nemici dei lavoratori. In questa vicenda le due grandi confederazioni – Cisl esclusa – hanno assunto atteggiamenti in tutto e per tutto simili a quelli dei sindacatini di base iperpoliticizzati, che a chiacchiere criticano. Sarà forse anche per questo, che continuiamo a non aver in Italia una legge sui criteri di rappresentanza sindacale e datoriale per firmare contratti validi erga omnes, e per indire scioperi nazionali. Come se non bastassero i campanelli di allarme sullo sfarinamento dei princìpi comuni che sono la forza di una Repubblica democratica, Cgil e Uil ne hanno aggiunto uno nuovo, di cui nessuno sentiva il bisogno. 

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