economia e politica

Aste e liberalizzazione del mercato elettrico fanno risparmiare

Carlo Stagnaro

Perché non ha senso la campagna allarmistica di Bersani & co sulla fine della “maggior tutela”

Il decreto energia, che contiene alcune misure fondamentali e altre discutibili, ancora una volta non è entrato in Consiglio dei ministri. Il pomo della discordia, cioè la liberalizzazione del mercato elettrico, non riguarda questioni di principio ma un malriposto opportunismo. Tutti (tranne Pierluigi Bersani, che ieri ha rilasciato una durissima intervista al Fatto quotidiano) sanno perfettamente che il superamento della maggior tutela non può che generare prezzi più convenienti per i consumatori. Lo impone il modo in cui il passaggio deve avvenire, cioè un meccanismo di aste. Lo confermano le gare già concluse, per le piccole imprese (2021) e le microimprese (2022): “I prezzi… [sono] risultati generalmente vantaggiosi… e, per tutte le aree territoriali, si [sono] attestati al di sotto del valore” di tutela, ha scritto l’Arera.

Chi, nonostante ogni evidenza del contrario, insiste per fare slittare la liberalizzazione invoca due argomenti. Il primo, spesso utilizzato in pubblico, è quello di Bersani, secondo cui si finirà per “lasciare pochi colossi e tutti gli altri nani”, con annessi rincari. È una descrizione singolare, perché è molto più vicina al meccanismo della “maggior tutela” che alla situazione che uscirà dal suo superamento. La quota di mercato del principale operatore tra i consumatori domestici di energia elettrica oggi è del 59,1 per cento, il secondo non arriva al 9 per cento. Dopo le aste dovrà necessariamente scendere molto al di sotto del 50 per cento, perché il meccanismo prevede degli specifici limiti. 

D’altronde, è davvero bizzarro che Bersani sia infuocato sulla liberalizzazione del mercato elettrico ma silente sull’analogo processo che coinvolgerà, a partire dalla stessa data, il mercato del gas. Quest’ultimo è assai meno concentrato (il principale operatore ha il 22,2 per cento, tallonato dal secondo col 20,4 per cento). Questa differenza ha una e una sola causa: il modo in cui è costruita la maggior tutela nel settore elettrico. È questo, dunque, che necessita di interventi più radicali; e gli interventi sono la conseguenza del problema che Bersani pensa possa emergere dalla liberalizzazione, e che invece sta a monte di essa. 

Non è un caso se, diversamente da quanto dice l’ex ministro dello Sviluppo economico, la Commissione europea da anni invoca la fine della “maggior tutela”, tanto che essa venne esplicitamente introdotta come servizio “transitorio”. Ed è questa anche la ragione per cui è una delle riforme fondamentali del Pnrr, presentato da Mario Draghi e approvato col voto favorevole (tra gli altri) dello stesso Bersani e del suo partito (Articolo Uno, che all’epoca era rappresentato al governo dal ministro Roberto Speranza).

Resta, quindi, l’altro argomento, declinato in vari modi dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin: bisogna fornire adeguata informazione ai consumatori. Non si potrebbe essere più d’accordo, tanto che la legge impone di tenere una tale campagna informativa sin dal 2017. Ma come si possono informare le famiglie di quello che sta per accadere, se il governo cambia idea a settimane alterne? La realtà è che le principali fonti di confusione sono la politica di proroghe perseguita anno dopo anno e i messaggi terroristici su inesistenti aumenti che Bersani & Co continuano a diffondere. È vero che ci sono problemi pratici – su tutti, il trasferimento delle domiciliazioni bancarie e la clausola sociale per i call center improvvidamente introdotta qualche mese fa – ma se si dedicasse alla loro soluzione una piccola frazione del tempo che si spende attorno al nulla, sarebbero già archiviati da tempo.

Il ministro Pichetto teme che, per effetto di questa leggenda oscura sui guasti della liberalizzazione, il superamento della maggior tutela possa sortire contraccolpi di immagine in vista delle elezioni europee. Tuttavia, rinviare ancora una volta non sarebbe solo un dito nell’occhio all’Europa e al già claudicante Pnrr: sarebbe un modo per tenere in ostaggio l’intero settore. Al contrario, il ministro dovrebbe accelerare il processo, in modo che i consumatori possano ricevere la prima bolletta dal nuovo fornitore e constatare i risparmi prima delle elezioni. Oppure potrebbe chiedere all’Arera (l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), in sede di organizzazione delle aste, di prevedere comunque un tetto pari al costo della maggior tutela. In questo modo si potrebbero rispettare i tempi – aste a dicembre, avvio del servizio a gennaio, presa in carico dei clienti ad aprile – con la certezza che non ci sarà alcun aumento. Così si vedrà chi davvero ha a cuore il bene dei consumatori, e chi la difesa dello status quo.

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