Andrea Enria - Ansa 

Banca Centrale Europea

L'eredità di Enria sulla vigilanza bancaria europea

Mariarosaria Marchesano

La tedesca Claudia Buch sostituirà l'italiano alla vigilanza della Banca centrale europea. Cosa aspettarsi dall'avvicendamento

Milano. Gli stress test, le ispezioni, le infinite raccomandazioni per una gestione prudente e attenta alla solidità patrimoniale. La pulizia nei bilanci, la richiesta di non distribuire i dividendi durante la pandemia, l’invito alle fusioni per diventare più grandi. Sono molte le cose che le banche italiane ed europee ricorderanno di Andrea Enria, che per cinque anni ha impersonificato la vigilanza della Bce sul settore del credito. Un ruolo che ha svolto con determinazione puntigliosa, al punto da suscitare talvolta una certa insofferenza tra i banchieri che si sono sentiti messi sotto pressione soprattutto per le politiche di remunerazione degli azionisti e di gestione dei crediti deteriorati. Eppure, tocca proprio a un italiano lasciare al suo successore, la vice presidente della Bundesbank Claudia Buch, un organismo in grado di tenere sotto controllo il sistema bancario europeo (attualmente sono 109 gli istituti sottoposti a vigilanza diretta che detengono quasi l’82 per cento delle attività bancarie dei paesi Ue) che oggi si presenta più forte rispetto a qualche anno fa. 
Come ha evidenziato un recente sondaggio di Reuters tra esperti del settore, il compito principale di Buch, che ha un prestigioso curriculum da accademica, “sarà quello di perfezionare piuttosto che rivoluzionare la vigilanza bancaria”. Nel 2019 Enria, che era stato per sei anni alla guida dell’Autorità bancaria europea (Eba) e prima ancora capo del servizio normative e politiche di vigilanza di Bankitalia, riuscì ad affermarsi nella gara per dirigere il Consiglio di vigilanza grazie a quello che fu definito un “miracolo di diplomazia”. A mancargli non erano certo le competenze: una laurea alla Bocconi ottenuta nel 1987, con una tesi in politica monetaria, specializzazione a Cambridge, oltre che la lunga carriera, gran parte proprio all’interno di organismi di supervisione, che lo aveva portato ai vertici dell’Eba. Ma tra i governatori della Bce non mancavano le perplessità sul nome dell’italiano, che alla fine fu preferito all’irlandese Sharon Donnery. 
Storia passata, solo per ricordare che all’inizio non è stato facile per Enria affermarsi in quel contesto. Ma per lui che ha la fama di fondista, uno che vince alla distanza, lasciare il segno nella vigilanza europea è stata la sfida che ha potuto considerare vinta la scorsa primavera, quasi al termine del suo mandato, quando le crisi delle banche californiane e di Credit Suisse hanno reso evidente la validità del modello di vigilanza applicato nell’Unione europea. L’impatto dell’aumento dei tassi d’interesse deciso dalle banche centrali per combattere l’inflazione, che nei gruppi finanziari più fragili ha provocato una difficile gestione degli attivi e l’erosione degli indici di solvibilità, è stato ben assorbito dalle banche europee, che, anzi, ne hanno beneficiato in termini di aumento della profittabilità. 
Si è trattato, certo, del frutto di un lavoro che viene da lontano, da quando è stato costituito l’organismo di vigilanza (nel 2013 ma diventato pienamente operativo a partire del 2015) definito dall’allora presidente della Bce, Mario Draghi, “una pietra miliare delle istituzioni europee”. Erano gli anni immediatamente successivi alla grande crisi finanziaria globale che fece da sfondo alla crisi del debito sovrano europeo e le banche dell’area erano ancora piene di derivati di Lehman Brothers e di crediti deteriorati. Una zavorra che rischiava di compromettere la funzione stessa del sistema bancario come propulsore dell’economia. Allora l’istituzione di una vigilanza comune fu la risposta a un problema che poteva essere destabilizzante per l’intero sistema finanziario. La francese Daniele Nouy, primo presidente dell’organismo, avviò la stretta sulla classificazione delle sofferenze imponendo l’obbligo di fare accantonamenti per i prestiti già ai primi segnali di inesigibilità, ma è stato Enria a compiere un grande sforzo per cercare di armonizzare le normative dei vari paesi dell’Unione in materia lasciando un segno tangibile  del suo lavoro. 
Quello che non è riuscito a fare Enria è stata la creazione di una band bank europea in cui far confluire tutti i crediti deteriorati dell’Eurozona, progetto che ha cercato in tutti i modi di implementare durante la pandemia quando il crollo del pil dell’area fece temere l’esplosione delle insolvenze. Troppe divergenze tra i paesi hanno fatto naufragare l’idea su cui pure si dovrebbe riflettere considerato che tensioni geopolitiche e vari  choc esterni rendono più concreto il rischio di peggioramenti improvvisi del quadro economico.

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