Taranto

Bernabé lascia Ilva a Taranto. E ora chi la salva?

Annarita Digiorgio

L'uomo scelto da Draghi per risolvere la crisi legata all'acciaieria se ne andrà e il prossimo 26 ottobre il Tar si esprimerà sull'ennesima ordinanza di chiusura. Nessuna soluzione in vista

Il 26 settembre Franco Bernabè, l’uomo scelto da Draghi per risolvere la crisi Ilva, darà le dimissioni. Era l’unico rimasto a difenderla, e non può combattere contro tutti. In audizione è riuscito persino a difendere gli enti locali, eppure il 26 ottobre il Tar si esprimerà sull’ennesima ordinanza di chiusura degli impianti emessa dal sindaco. Bernabè ha sempre difeso anche l’ad Lucia Morselli, persino di fronte al bilancio presentato in cda, nonostante non riesca a pagare le forniture di gas (e per fortuna gli altoforni vanno a carbone). “A quanto ammonta il debito di quest’azienda, ce lo vogliono dire sì o no?”, è la richiesta  lanciata ieri dal segretario della Uilm Palombella durante lo sciopero nazionale, mentre il governo ha promesso nuova cassa integrazione.

Ed è proprio per evitare di sobbarcare questi debiti sul bilancio  statale che Giorgia Meloni con il decreto “Salva infrazioni” ha tolto il dossier dalle mani di Urso per passarlo a Fitto. Il ministro delle Imprese ha portato avanti la sua linea dello stato stratega, che sarebbe dovuto intervenire nella siderurgia con un rafforzamento pubblico, per realizzare a Taranto quella che lui chiamava “la più grande acciaieria green di Europa”. Ma lo stato per essere stratega deve avere uomini, risorse, competenze e progetti sostenibili. Che non ha. A quel punto non restava che una seconda amministrazione straordinaria, e la possibilità di andare avanti, come fino al 2018, con i bilanci omissis. Ma a questo punto è intervenuto Fitto: “Io a casa ci devo tornare”. Cioè dalle aziende dell’indotto che si vedrebbero per la seconda volta azzerare i crediti. Per questo Fitto ha ripreso le trattative con ArcelorMittal. In una situazione così drammatica ci sguazza la magistratura con una nuova morsa giudiziaria. Ieri i carabinieri del Noe sono entrati in fabbrica per un’ennesima inchiesta aperta dalla Procura di Taranto, al tar di Lecce e al tribunale di Milano ci sono una decina di ricorsi pendenti, e il 7 novembre è attesa la sentenza della Corte di Giustizia europea. L’unica soluzione è trovare un credito e vincolarlo esclusivamente al revamping di Afo5, con polimeri al posto del carbon coke e cattura di Co2. Ma chi lo fa con questi magistrati?

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