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l'analisi

Il governo presenta una Nadef prudente, ma le idee coraggiose sono pari a zero

Stefano Cingolani

Crescita rimensionata e poco spazio di manovra. Il governo concentra le risorse al sostegno dei redditi, ma si tratta di misure che non sono in grado di far recuperare pienamente il potere d’acquisto eroso dall’inflazione

E’ stato tutto un arretrare. Quaranta miliardi di euro avevano chiesto i partiti della maggioranza (chi più chi meno), ce ne sono venti se tutto va bene. O meglio, per essere pignoli, ce ne sono dodici cioè tanti quanti corrispondono ai titoli di stato in più da vendere sul mercato per coprire le spese. Il resto verrà da una spending review che sembra ai minimi termini, da qualche magheggio uscito dalle fertili menti degli abili funzionari del Tesoro, un po’ di aggiustamenti, un pizzico di condono. Lo vedremo il mese prossimo quando Giancarlo Giorgetti presenterà la prima vera legge di bilancio in questa nuova era delle aspettative crescenti e della realtà decrescente.

Al Consiglio dei ministri mercoledì toccava varare “soltanto” la Nadef (Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza) che fissa la cornice fatta di percentuali dentro la quale si potrà muovere la politica economica per l’anno prossimo. Tuttavia proprio quelle cifre fanno parte del paradigma indiziario che consente di immaginare cosa farà il governo Meloni per sostenere una economia in evidente frenata. 

Il prodotto lordo innanzitutto, da qui bisogna partire per arrivare alla finanza pubblica. Lo scorso anno era salito del 3,7 per cento, adesso il governo prende atto che aumenterà dello 0,8 per cento invece dell’un per cento previsto ad aprile. Un ridimensionamento che continua nel 2024: più 1,2 per cento invece che 1,4 per cento tendenziale, cioè senza ulteriori spinte. E’ una stima ottimista perché l’Ocse la settimana scorsa ha previsto un altro 0,8 per cento. Sperare non fa mai male, tuttavia ci si chiede che cosa potrà migliorare la crescita in assenza di stimoli agli investimenti e di una domanda per consumi che, se va bene, resterà ancora anemica. E’ vero che il governo ha deciso di concentrare le poche risorse al sostegno dei redditi, quelli da lavoro con la riduzione del cuneo fiscale (e i contratti degli statali) più altri bonus a pioggia (o meglio a pioggerella) per le fasce più deboli della popolazione. In ogni caso si tratta di misure che non sono in grado di far recuperare pienamente il potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Il tasso di disoccupazione ora al 7,6 per cento scende di poco: 7,3 per cento nel 2024.

Il deficit pubblico quest’anno sarà peggiore rispetto alle stime primaverili: anziché il 4,5 per cento si arriverà al 5,3 per cento, otto decimali di punto provocati in gran parte dal Superbonus edilizio una condanna per oggi e gli anni a venire. Eurostat ha accolto la proposta dell’Istat e ha scaricato sul 2003 i crediti di imposta considerandoli “pagabili”; si tratta di 22,5 miliardi di euro a primavera prossima si farà il punto su quelli pagati o non pagabili, spalmandoli così sui bilanci futuri. Ciò consente una boccata d’aria lasciando uno spazio sia pur minimo per l’anno prossimo quando torna il patto di stabilità. Il disavanzo resterà comunque troppo elevato (si prevede il 4,3 per cento mentre il Def aveva scritto 3,7 per cento) rispetto al fatidico tre per cento del pil. Colpa del rallentamento congiunturale, ma anche di una cronica incapacità di recuperare risorse pescando nella palude delle spese correnti: se si continua con i trasferimenti monetari, se non si è in grado di disboscare la giungla clientelare, se si pensa di rilanciare il sud estendendo a tutto campo i benefici della vituperata (forse troppo) Cassa per il Mezzogiorno, non resta che indebitarsi. I mercati attendono e scaldano i motori (lo spread sui titoli decennali ieri era a 194 punti base, una settimana fa era a 176). Il costo degli interessi sul debito sale a 95 miliardi di euro (dieci più di quelli calcolati a primavera) e il debito sul pil deve scendere nonostante il rallentamento della crescita. Era previsto al 142,1 per cento del pil quest’anno e 140,1 per cento nel 2024. Sarebbe più basso di un punto senza l’impatto del Superbonus.

E’ questa la vera tagliola pronta a scattare. Il governo dovrà trattare con Bruxelles, un negoziato difficile anche se passa la riforma del patto di stabilità presentata da Paolo Gentiloni, perché il parametro chiave sarà proprio il debito pubblico. Giorgetti dovrà rassicurare i risparmiatori che debbono comprare i Btp. Il rendimento per il buono decennale è al 4,75 per cento, al rialzo, anche se ancora leggermente inferiore all’inflazione. Più cresce, più euro occorre accantonare stornandoli da impieghi produttivi. E qui torniamo alla domanda di fondo: l’aumento dei tassi sta già manifestando i suoi effetti sulla crescita (sottrae risorse per 14-15 miliardi, secondo il Tesoro). Il ministro dell’economia, in tutta la sua comprensibile cautela aveva detto che in ogni caso la politica di bilancio doveva dare un impulso anti ciclico. Con queste gabbia tanto stretta, ci sarebbe bisogno di una scelta coraggiosa a favore degli investimenti produttivi anche a costo di rinunciare ad altre spese. Per il momento non si vede nulla del genere. 

 

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