L'intervista

“Sul salario minimo decidano i politici, non i magistrati”. Parla Michel Martone

Ermes Antonucci

"Nove euro l’ora sono pochi a Milano e troppi in tante parti del nostro sud", dice il docente di Diritto del lavoro. "Serve rafforzare la contrattazione con paghe minime orarie differenziate in base ai settori produttivi e alle aree geografiche"

La magistratura si sta sostituendo alla politica sul salario minimo? La domanda è sorta spontanea dopo la vicenda Mondialpol, il colosso della vigilanza privata messo sotto inchiesta dalla procura di Milano e sotto controllo giudiziario con l’accusa di caporalato e sfruttamento dei lavoratori. Due giorni fa, nell’ambito del procedimento penale, l’azienda ha annunciato la scelta di aumentare i salari dei dipendenti del 20 per cento da settembre e del 38 per cento nel 2026, ottenendo così la revoca del controllo giudiziario (l’inchiesta andrà comunque avanti). “Un caso isolato non fa una tendenza, ma è chiaro che se il Parlamento non interviene per legge e alcuni contratti collettivi prevedono dei minimi salariali troppo bassi, come quello della vigilanza privata, a un certo punto si aprono spazi anche per gli interventi della magistratura”, commenta con il Foglio Michel Martone, professore ordinario di Diritto del lavoro e relazioni industriali all’Università La Sapienza di Roma, autore quattro anni fa di un volume dedicato proprio al tema oggi al centro del dibattito politico: “A che prezzo. L’emergenza retributiva tra riforma della contrattazione collettiva e salario minimo legale” (Luiss University Press, 2019). 

 

“Il caso di Mondialpol – prosegue Martone – evidenzia come in alcuni settori i salari siano ormai troppo bassi e ci sia l’esigenza di applicare dei trattamenti più elevati. Il fatto che il commissario abbia deciso di alzare i salari di addirittura il 38 per cento ci fa capire quanto la distanza fosse ampia”. “Il vero problema – aggiunge Martone, viceministro del Lavoro e delle politiche sociali del governo Monti – è che a causa di alcuni, pochi contratti collettivi che prevedono dei minimi salariali troppo bassi, si finisce per andare a criticare e a scardinare tutto il sistema della contrattazione collettiva, che invece nella stragrande maggioranza dei casi garantisce ai lavoratori stipendi che sono ben superiori ai nove euro l’ora”, vale a dire la soglia di retribuzione individuata dalle opposizioni per fissare il salario minimo per legge.

 

“In un paese differenziato, nel quale il divario tra nord e sud è così forte e nel quale la varietà dei settori produttivi è così ampia, pensare di poter individuare una soluzione valida per tutti è tendenzialmente una chimera, come dimostrano tante esperienze – afferma Martone –. Ciò che è necessario è cercare di trovare un sistema che consenta di individuare delle paghe minime orarie differenziate in relazione ai settori produttivi e alle aree geografiche”.

 

Insomma, continua l’ex viceministro del Lavoro, “nove euro l’ora sono pochi a Milano e troppi in tante parti del nostro sud. Quindi in alcuni settori rischiano di strangolare le poche imprese che ci sono, specialmente al sud, e di spingerle fuori dal mercato, verso il lavoro nero, mentre in altri settori al nord rischiano di portare alla disapplicazione della contrattazione collettiva, che già prevede dei salari molto più alti dei nove euro l’ora. I principali episodi di sfruttamento nel nostro paese molto spesso sono legati al lavoro nero (e se l’impresa decide di non applicare il contratto collettivo, lo stesso non applicherà il salario minimo legale), sono legati a un utilizzo eccessivo del part time e a fenomeni limitrofi al lavoro nero, come per esempio il ricorso a forme di lavoro atipico non standard”.

 

Per Martone “la giusta retribuzione dipende innanzitutto dal fatto che l’impresa sia in grado di produrre sufficiente ricchezza da distribuire. Vanno sanzionati gli episodi come quello di Mondialpol, nel quale evidentemente le retribuzioni sono troppo basse. E’ importante che si intervenga per aumentare le retribuzioni, ma senza strangolare le imprese”. Come? “Il modo migliore è intervenire per arrivare all’efficacia essenziale della contrattazione collettiva. Altrimenti, si può arrivare con interventi di legge tout court, ma allora sarebbe importante che si cominciasse prima, in via sperimentale, intervenendo nei settori nei quali il rischio di una retribuzione troppo bassa è elevato, per poi individuare un’autorità tecnica che individui un salario minimo in relazione ai settori e alle aree territoriali. A realtà produttive diverse non possiamo dare soluzioni univoche”, conclude Martone. 

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