parole improvvide

Lo "Stato stratega" del ministro Adolfo Urss

Luciano Capone

Il ministro delle Imprese attacca le multinazionali e cerca di calmierare i prezzi. Il Gosplan all'italiana prevede pugno duro per gli investitori esteri e guanto di velluto per i tassisti. Non è un caso che non si riesca a convincere Intel, che ha già fatto accordi con Germania e Polonia, a investire in Italia 

“Vogliamo valorizzare chi agisce nel nostro paese, semmai frenare e contrastare le grandi multinazionali, certamente anche Uber”. A dirlo non è uno scalmanato esponente di Potere al Popolo, ma davanti ai microfoni e alle telecamere un distinto signore in giacca e cravatta che fa il ministro delle Imprese, ovvero colui che tra le altre cose dovrebbe attrarre gli investimenti esteri in Italia. Adolfo Urso, parlando al termine del “tavolo” con i tassisti tenuto insieme al ministro dei Trasporti Matteo Salvini, rispondeva nello specifico a una domanda su Uber, la bestia nera dei taxi, ma ha espresso un concetto generale che si addice, con rispetto parlando, più a un ministro del sottosviluppo economico o di un paese sovietico.

 

Le parole improvvide di Urso arrivano, tra l’altro, pochi giorni dopo la visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca, dove la presidente del Consiglio ha parlato con il presidente Joe Biden anche di investimenti americani in Italia. Meloni aveva anche incontrato a Villa Firenze, sede dell’ambasciata d’Italia a Washington, alcune tra le principali multinazionali americane per invitarle a “scommettere sull’Italia”. Chissà se c’era anche Uber. A giugno, a Palazzo Chigi era stato ricevuto Elon Musk, il proprietario di multinazionali come Tesla, SpaceX e Twitter (X), per un colloquio di un’ora e mezza con Meloni. C’era anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che poi ha svelato che nel dialogo con Musk si è parlato “di politica industriale, di auto elettrica: gli ho detto che l’Italia è il miglior paese in Europa per investire”.

 

Si è allora capito solo oggi perché a parlare con Musk di queste cose c’era il ministro degli Esteri e non quello delle Imprese: Urso avrebbe intimato al padrone di queste perfide grandi multinazionali di starsene alla larga dal Belpaese. Dei suoi miliardi, delle sue batterie al litio, delle sua gigafactory non sappiamo che farcene. Può starsene a casa sua, come ha già detto il first gentleman Giambruno al ministro della Salute tedesco. Qui da noi c’è lo “Stato stratega”, così lo chiama Urso, che è un’evoluzione dello “Stato imprenditore” ma senza soldi, la versione all’italiana del Gosplan sovietico. L’opposto del discorso d’insediamento alla Camera di Meloni, quello in cui la premier disse che chi vuole fare impresa in Italia “va sostenuto e agevolato, non vessato e guardato con sospetto. Il nostro motto sarà: non disturbare chi vuole fare”.

 

Non aveva fatto i conti Meloni con il suo ministro “stratega”, che difende i confini nazionali dall’invasione delle rari malintenzionati esteri che vogliono buttare soldi in questo paese scalcagnato. Da tempo, ad esempio, non si sa più nulla del potenziale investimento di Intel, uno dei più grandi produttori di microchip al mondo, per una fabbrica di semiconduttori in Italia. Da oltre un anno si lavora a questo investimento di 4,5 miliardi euro che dovrebbe dare lavoro a circa 5 mila persone in un settore ad alta specializzazione. Nel frattempo Intel ha annunciato investimenti in Germania per circa 30 miliardi di euro (di cui 10 miliardi messi dal governo tedesco), in Israele per circa 25 miliardi di dollari (“il più grande investimento mai realizzato da una multinazionale in Israele”, ha detto Netanyahu) e in Polonia per 4,2 miliardi di euro. È ancora incerta la sorte della fabbrica in Italia, ma il destino è segnato se i vertici di Intel hanno ascoltato l’impegno del ministro a “contrastare le grandi multinazionali” che pensano di fare business da queste parti.

 

Intemerate del genere Urso le ha già fatte contro Mittal, che ha avuto la pessima idea di bruciare qualche miliardo nell’altoforno dell’Ilva. Ma il ministro delle Imprese non si limita ad arginare gli investimenti. Interviene in ogni interstizio dell’economia per fermare l’inflazione, ritenendosi evidentemente più adatto di Christine Lagarde, criticata dal governo per la sua politica di rialzo dei tassi. Aumenta il prezzo della benzina? Urso organizza un “tavolo” e con la sola imposizione di un cartello con il prezzo medio il problema è risolto. Salgono i prezzi dei beni alimentari? Urso apre un “tavolo” con i player della grande distribuzione per invitarli a fermare i rincari. Si impennano i prezzi dei biglietti aerei? Ecco che arriva “la stretta”: “Abbiamo potuto verificare che l’algoritmo crea una distorsione di mercato”, dice Urso annunciando un decreto per bloccare i prezzi un po’ come ai tempi del commissario Domenico Arcuri.

 

Con le multinazionali usa il pugno di ferro, mentre per le piccole imprese italiane c’è il guanto di velluto. Per il settore taxi, che paralizza le città a causa della scarsità di licenze sul mercato rispetto alla domanda, la soluzione è sempre un “tavolo”, in cui il ministro propone ai tassisti – sempre che vogliano accettare – una licenza in omaggio per ciascun titolare, licenze provvisorie per chi ne ha già una e bonus per sostituire il vecchio taxi con una nuova auto ibrida o elettrica. Da qui si capisce che la strategia dello “stato stratega” è solo elettorale: sacrificare lo sviluppo del paese per i voti di qualche corporazione.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali