incoerenze

Il termometro Panetta per misurare i limiti del melonismo

Luciano Capone

La premier si scaglia contro il Mes e la Bce mentre indica al vertice della Banca d'Italia Fabio Panetta, favorevole alla ratifica del Mes e membro del board della Bce. Il metodo Meloni non è solo incoerente, ma rischia di danneggiare l'interesse nazionale

Si è accesa molto, come spesso le capita nei comizi, quando nelle comunicazioni alla Camera sul Consiglio europeo di oggi ha parlato della ratifica del Mes. Premettendo la necessità di un sostegno bipartisan per raggiungere gli obiettivi dell’Italia sulle regole fiscali europee, Giorgia Meloni, alzando progressivamente la voce, ha detto che “non è utile all’Italia alimentare in questa fase una polemica interna su alcuni strumenti finanziari, come il Mes. L’interesse dell’Italia oggi è affrontare il negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto”. “Prima ancora di una questione di merito c’è una questione di metodo su come si faccia a difendere l’interesse nazionale”, ha aggiunto la presidente del Consiglio.

 

Ma il problema dell’approccio del governo, a prescindere dal merito, è proprio il metodo. Innanzitutto l’appello all’unità nazionale, l’invito alle minoranze a evitare polemiche interne sul Mes, cozza con l’atteggiamento della Meloni all’opposizione, quando i Fratelli d’Italia additavano i governi come traditori della patria e si dicevano pronti a “scatenare l’inferno” sulla ratifica del Mes. Passando ai banchi del governo, i gladiatori meloniani hanno dismesso l’armatura e messo la grisaglia, invitando l’attuale opposizione ad abbandonare i toni polemici per perseguire il bene della nazione. E questo cambiamento di posizione è nelle cose, o meglio nel ruolo.

 

Il vero problema, però, è se la strategia del governo di usare la ratifica del nuovo trattato del Mes come arma di ricatto per trattare su altri tavoli europei sia utile a perseguire “l’interesse nazionale” oppure lo danneggi. Perché al momento l’Italia non ha ottenuto nulla, né sulla modifica delle nuove regole del Patto di stabilità, né sul cambiamento del Pnrr, né sul completamento dell’Unione bancaria. Niente di niente. Sicuramente perché nel merito la posizione italiana, che chiede un allentamento delle regole fiscali per favorire lo scorporo di spese per investimenti, è minoritaria. Ma anche perché il metodo, quello di usare il veto sull’entrata in vigore del nuovo Mes come arma di ricatto per ottenere qualcos’altro, non solo non è efficace ma è controproducente: indispettisce e irrigidisce tutti gli altri 19 paesi dell’Eurozona che già hanno ratificato il trattato.

 

Non è un caso che proprio ieri, in una lettera al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe abbia ricordato l’importanza per la stabilità finanziaria di “procedere con la riforma del Mes, per stabilire un sostegno comune al Fondo di risoluzione unico per rendere il nostro quadro ancora più solido”, sottolineando che “la ratifica del trattato del Mes è centrale per i nostri sforzi e continueremo il nostro impegno con l’Italia su questo tema”. Insomma, il tema irrisolto a livello dei ministeri delle Finanze viene spostato sul tavolo dei capi di stato e di governo.

 

L’altro aspetto, che non rafforza la credibilità del paese e quindi l’interesse nazionale, è l’attacco della Meloni alla “semplicistica ricetta dell’aumento dei tassi intrapresa dalla Bce” per contrastare l’aumento dei prezzi: “Non si può non considerare il rischio – ha detto la premier – che la cura si riveli più dannosa della malattia”. Tralasciando le errate valutazioni di merito, ancora una volta sorprende il metodo. Perché l’attacco alla politica monetaria della Bce arriva in contemporanea all’indicazione di Palazzo Chigi di Fabio Panetta, membro del board della Bce, a governatore della Banca d’Italia. Naturalmente si tratta di una scelta azzeccata, forse la più scontata perché la migliore possibile per preparazione ed esperienza, non a caso in perfetta sintonia con il Quirinale e Via Nazionale. Ma qual è la coerenza politica di Meloni?

 

Sebbene a Francoforte Panetta sia ritenuto una “colomba” e negli anni non abbia risparmiato critiche all’Europa sulla direttiva Brdd (il cosiddetto bail-in), nell’ultimo anno ha condiviso tutte le scelte di aumento dei tassi della Bce, perché i dati mostrano che sebbene i prezzi energetici scendano l’inflazione di fondo continua a essere elevata. Per giunta, anche sul Mes Panetta si è espresso a favore: “Non vedo grandi cambiamenti nella riforma del Mes, che va visto come una sorta di assicurazione, come quella delle auto, che compriamo ma poi speriamo di non usarla” disse nel 2019 al Parlamento europeo, sottolineando che il Mes serve a “rafforzare la zona euro”.

 

Meloni sicuramente non pensa che Panetta non abbia a cuore l’interesse nazionale, altrimenti non l’avrebbe voluto prima come ministro dell’Economia e ora come successore di Ignazio Visco. Ma a maggior ragione si fa fatica a capire la logica degli attacchi alla Bce e del veto ottuso sul Mes, ma soprattutto cosa dovrebbe produrre di buono questa strategia per l’Italia.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali