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la nomina

Panetta in Bankitalia costringe Meloni a un bagno di realtà

Stefano Cingolani

Il dopo Ignazio Visco è una partita tosta per il governo. Tra sfide europee, pragmatismo necessario e una scelta giusta 

Fabio Panetta, romano, 63 anni, sarà (salvo sorprese oggi improbabili) il nuovo governatore della Banca d’Italia. Succede a Ignazio Visco che, a conclusione di un secondo mandato, non può essere riconfermato. Di per sé è una notizia importante, anche se da tempo ormai c’era davvero poca suspense: Panetta appariva come il “predestinato”. La vera incognita riguarda chi lo sostituirà nel comitato esecutivo della Banca centrale europea e, innanzitutto, se sarà un altro italiano. Secondo una scuola di pensiero, la scelta è prematura. Non tanto perché Visco scade il 31 ottobre (è tradizione che la nomina avvenga in anticipo ed è anche una buona norma che mette fine a chiacchiere da caffè e polemiche alla fin fine nocive). 

Ma perché arriva in un momento delicato nel rapporto tra il governo italiano e la Commissione europea. Giorgia Meloni non ha dato il via libera al Mes, tentenna, si dice che lei sarebbe anche favorevole, ma non vuole fare la prima mossa, insomma è il gioco del cerino con Matteo Salvini. Il Meccanismo europeo di stabilità, questo tormentone italico, nel peggior senso, è diventato la cartina di tornasole, il precipitato di tutte le pulsioni sovraniste e anti europeiste. Approvarlo o no è una prova di verità e trasparenza. Panetta, apprezzato da Mario Draghi del quale è stato uno stretto collaboratore e da Sergio Mattarella, era fin dall’inizio il candidato con maggiori chance. Ma chi andrà al suo posto? Sarà davvero un italiano, un tecnocrate scelto da un governo che rifiuta uno degli strumenti finanziari fondamentali come il meccanismo salva stati che serve da sponda alla politica monetaria, per assicurare che una crisi bancaria o del debito sovrano si trasformi come nel 2011 in una crisi di sistema? E il rischio  che la poltrona di Francoforte vada a qualcun altro, non sia mai a un falco nordico, sostenitore di quella politica monetaria rigida e deflattiva che  la Banca d’Italia, a cominciare da Panetta, ha sempre criticato?

Retroscena, paure, incertezze, ma non tali da far passare in secondo piano il suo curriculum, a prova di bomba. E senza dubbio ha il pieno sostegno di Giorgia  Meloni che si è a lungo consultata con lui dopo la vittoria elettorale e lo avrebbe voluto come ministro dell’Economia. Più dubbio è che anche il resto del governo, soprattutto la Lega salviniana, la pensi allo stesso modo. Secondo voci dal sen fuggite, la risposta al nostro dubbio sul perché tanta fretta è che la presidente del Consiglio ha voluto evitare tira e molla, toto-governatori o bastoni tra le ruote. Meglio tutto e subito anche rischiando qualcosa sulla scacchiera delle nomine europee. L’Italia è comunque l’azionista numero tre della Bce ed escluderla dal suo posto al sole, pardon alla nebbia di Francoforte, è difficile. Le elezioni europee saranno a giugno 2024 e in questo caso meglio rompere gli indugi.   Panetta conosce benissimo moneta e credito, detesta operazioni troppo “liberiste” come il bail-in, non ama le strette monetarie, è cresciuto circondato dalla politica, è stato allenato da ben quattro governatori, ha la stima di Mario Draghi. La biografia ufficiale ci mostra un cursus honorum costruito anno dopo anno in via Nazionale da quando venne assunto nel 1985 dopo la laurea in Economia alla Luiss, l’università romana della Confindustria, e il dottorato alla London School of Economics. Entra nel servizio studi, lavora alla direzione monetaria e finanziaria, diventa capo del servizio di congiuntura e politica monetaria dal 2007 al 2011 e poi direttore centrale con il compito di coordinare la partecipazione della Banca d’Italia all’Eurosistema. Dal 2010 al 2012 è responsabile del Rapporto sulla stabilità finanziaria, fin quando viene nominato nel direttorio come vice direttore e poi direttore per pochi mesi dal maggio al dicembre 2019. Su di lui non aveva mosso nessuna obiezione il governo giallo-verde che, invece, aveva sparato a pallettoni contro il suo collega Luigi Federico Signorini (grillini e leghisti sono sempre stati i più critici della banca centrale) al quale era toccato il compito di bacchettare la politica economica nei suoi interventi alla Camera. Panetta, invece, era diventato l’alfiere della battaglia sulle crisi bancarie, particolarmente tranchant sul bail-in, la vera bestia nera del populismo di destra e si sinistra. Per anni il circo mediatico-politico ha rullato i tamburi di guerra sui salvataggi, si è arrivati anche a una inutile inchiesta parlamentare. Convocato di fronte alle commissioni Finanze di Camera e Senato per affrontare il crac della Carige (Cassa di risparmio genovese), Panetta ha detto che la normativa introdotta in Europa “è stata una reazione rabbiosa dopo la crisi finanziaria globale”, sottolineando che “in altri paesi forse l’esborso di risorse pubbliche in termini di prodotto lordo è stato molto maggiore che in Italia. Credo sia la motivazione di un cambio di normativa sul metodo di risoluzione delle crisi”, ha aggiunto ricordando che negli Stati Uniti si usa la garanzia del Tesoro.

Il prossimo governatore della Banca d’Italia ha seguito i passaggi più difficili della crisi bancaria italiana anche dalla vigilanza europea guidata da Andrea Enria. Si è costruito un profilo di competenza, correttezza e tenacia nel sostenere gli interessi nazionali. Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha lodato pubblicamente la sua difesa, a Francoforte come a Bruxelles, delle ragioni delle banche italiane nello scontro sulle linee giuda della Bce a proposito degli accantonamenti per far fronte ai crediti deteriorati. Panetta ha sostenuto la linea del governatore Ignazio Visco, ma è parso particolarmente pugnace.

Panetta fa consenso e lo fa in modo trasversale. Nato nel 1959, suo padre Paolino è stato sindaco di Pescosolido, paesino laziale al confine con l’Abruzzo, dal 1964 al 1982 e di nuovo dal 1985 al 1993. I tre anni di interregno sono dovuti agli incarichi nel governo guidato da Giovanni Spadolini come capo di gabinetto per le politiche comunitarie e per i rapporti con il Parlamento. I ministri, entrambi democristiani, erano Lucio Abis e Luciano Radi. Il padre ha passato la passione politica al figlio maggiore Giovanni, parlamentare del Centro cristiano democratico dal 1996 fino alla sua morte nel 1999 a soli 43 anni. Per Pescosolido si spese molto Giulio Andreotti che della Ciociaria è stato il grande protettore, ma da quella stessa area del Lazio proviene Antonio Fazio (nato ad Alvito) il quale era vicedirettore generale quando il giovane Panetta venne assunto alla Banca d’Italia. Fazio lo valorizzò portandolo con sé alle riunioni a Francoforte, insieme a Carlo Azeglio Ciampi preparava le analisi sui mercati monetari, con Mario Draghi ha fatto un primo salto come coordinatore delle attività legate alla partecipazione all’Eurosistema, con Ignazio Visco è diventato il supplente alle riunioni della Bce. 

Per illustrare il Panetta pensiero abbiamo scelto un suo intervento di un anno fa quando anche la Bce si univa alle altre banche centrali nella lotta all’inflazione alzando i tassi d’interesse. E subito si poneva il dilemma ancora senza risposta: come frenare l’inflazione senza innescare una recessione. L’esponente italiano del comitato direttivo è uscito allo scoperto suggerendo gradualità nell’aumento del costo del denaro, ma offrendo anche una lettura della politica monetaria diversa alla scuola tedesca, alla luce delle sfide provocate dall’invasione russa dell’Ucraina. Aver consentito politiche pro cicliche fino al 2012 “ha generato un contraccolpo politico, dividendo l’Europa in debitori e creditori, centro e periferia e favorendo così una profonda divisione economica, sociale e politica”, ha detto Panetta criticando la linea seguita dalla Bce e interrotta dalla svolta Draghi. La risposta al Covid-19 è stata diversa e ha rappresentato “uno spartiacque nel viaggio verso l’integrazione europea”. La Bce ha adottato misure straordinarie “la più significativa delle quali è il Pepp, il programma biennale di acquisto di titoli pubblici e privati che ammonta a circa 1.700 miliardi di euro”. A differenza di altri programmi, ha la flessibilità per calibrare gli acquisti dove e quando “i rischi per la trasmissione delle politiche monetarie sono maggiori. Abbiamo imparato due lezioni – ha sottolineato – la prima è che c’è bisogno di una risposta congiunta fiscale e monetaria più frequente di quanto si potesse pensare, la seconda è che affinché l’unione monetaria sia valida le politiche europee debbono essere condotte nell’interesse di tutti (sottolineato, ndr) gli stati membri”. 

Il messaggio è rivolto a chi ancora pensa che l’euro possa sopravvivere contro e senza i paesi considerati più deboli siano essi la Grecia o l’Italia. Panetta ha insistito che un’azione comune è ancor più importante oggi, in presenza della guerra in Ucraina che richiede nuovi ingenti risorse militari ed energetiche per sfuggire al cappio di Putin. “Se l’onere dovesse cadere sui singoli stati membri, ciò potrebbe condurre a disinvestimenti, una risposta meno coerente agli choc attuali e un restringimento dello spazio fiscale”. Ecco perché “l’attuale crisi geopolitica richiede che facciamo un nuovo passo avanti nel processo d’integrazione fiscale europea riconoscendo che è una illusione che l’unione monetaria possa funzionare senza una capacità fiscale comune”. La critica alla linea dell’austerità e la necessità di distribuire l’onere in modo equo non possono che piacere al governo Meloni. Difficile però che i sovranisti arrivino ad accettare una maggiore integrazione fiscale. Ma chissà, ci sono sempre più cose tra cielo e terra di quante contenga qualsiasi ideologia.

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