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i dati istat

Il pil che va oltre le attese è un duro monito sul Pnrr

Dario Di Vico

Crescita nel primo trimestre a +0,5 per cento. Analisti stupiti. Ma per non perdere il treno della crescita serve dare priorità al Piano nazionale di ripresa e resilienza

Open to Pil. Viva il rimbalzo italiano. Il prodotto interno lordo ci ha da tempo abituato alle sorprese e a spiazzare gli analisti. E il primo dato riferito al 2023 rinverdisce la tradizione: Reuters forniva una previsione di +0,2%, altri più ottimisti si spingevano fino a +0,3% ma nessuno avrebbe scommesso un cent su +0,5% nel primo trimestre sull’ultimo del 2022. E invece è andata così e il comunicato ufficiale dell’Istat parla di contributo venuto da tutti i settori, dalla domanda interna e dalle esportazioni nette, dall’industria e dai servizi. Anche il confronto con i nostri partner e cugini è particolarmente lusinghiero perché solo la Spagna ha registrato lo stesso passo (+0,5%) mentre la Germania ha visto l’indice rimanere invariato e la Francia è cresciuta più lentamente (+0,2%). Il confronto con dodici mesi fa ci mostra per l’Italia un +1,8% e a questo punto la crescita acquisita per l’anno in corso segna un incoraggiante +0,8%. “E siccome è facile prevedere un’espansione economica nei trimestri centrali del 2023 pari allo 0,2/0,3% ciò significa che il Pil italiano potrebbe crescere di almeno l’1% quest’anno, con rischi di rialzo” ha commentato Paolo Mameli della direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. Tanto per avere qualche termine di paragone varrà la pena ricordare come il governo avesse gettato il cuore oltre l’ostacolo e previsto +1% nel Def mentre Prometeia aveva indicato +0,7% e nell’autunno scorso Banca d’Italia aveva giudicato la performance del 2023 più pessimisticamente (+0,3%) mentre il Fmi si era spinto a vaticinare addirittura un Pil in territorio negativo.

 

Ma torniamo alle prime indicazioni forniteci dal comunicato Istat, che costituiscono una traccia troppo debole per poter costruire un’analisi ex post molto più meditata. Però le prime valutazioni circolate oggi si sono rivolte ancora una volta a sottolineare gli effetti legati al ciclo delle costruzioni e quindi a indicare una sorta di coda delle ristrutturazioni edilizie che avrebbe fatto da traino ancora per un trimestre. Sullo sfondo ovviamente c’è la caduta repentina del prezzo del gas e quindi un elemento di conforto sia per la gestione del manifatturiero sia per il sistema dei servizi. Le industrie grazie al ripristino di prezzi più ragionevoli possono aver accentuato la tendenza “culturale” a lasciare da parte il just in time e a riempire i magazzini, contando anche su un’altra buona notizia come la progressiva attenuazione dei colli di bottiglia della logistica internazionale. In qualche settore manifatturiero, segnatamente l’auto, il ritorno delle forniture dei semiconduttori ha consentito ai carmakers di soddisfare ordini che erano rimasti inevasi e infatti i consuntivi delle vendite di auto registrano questa discontinuità. Di conseguenza non si può certo dire che l’industria sia stata la protagonista della performance inattesa del Pil di gennaio-marzo ‘23 ma quanto meno ha fatto i compiti a casa. Lo dimostrano anche gli andamenti per così dire sindacali: il ricorso alla Cassa integrazione non ha conosciuto picchi e non si ha notizia di un numero significativo di nuove crisi aziendali aperte (anzi si è aperto uno spiraglio per una vertenza annosa come quella del sito ex-Whirlpool di Napoli). Quello che si può aggiungere è che l’industria però non si trova davanti a una domanda di nuovo conio perché i consumi in generale ristagnano e in qualche caso (food) sono in contrazione per le dinamiche legate all’inflazione e al comprensibile braccino corto dei consumatori.

 

Sul lato servizi ci sono da segnalare le dinamiche legate al turismo che vede premiare molte località del Nord e del Sud senza sostanziali differenze. I sold out sono segnalati non solo nelle feste più tradizionali, a Bari come a Bergamo per dirla in breve, ma anche tutte le altre occasioni (eventi locali, ponti di calendario, fiere, semplici week end) hanno fatto registrare una mobilità sostenuta, al punto che nonostante la consistente offerta di affitti brevi le strutture ricettive sono state messe sotto stress e in qualche caso hanno mostrato che i posti-letto persi, con la selezione darwiniana degli operatori dovuta al Covid, dovranno essere recuperati per non respingere ordini dall’estero. Sul versante dei consumi l’andamento è condizionato dai costi esorbitanti del carrello della spesa che superano di gran lunga l’inflazione media e ci parlano di una filiera agricoltura-trasformazione-distribuzione presidiata da una governance ancora troppo rigida. La tempistica di definizione dei listini dei prezzi non è più al passo con i tempi e con le nuove caratteristiche dell’inflazione e rischia di fornire a valle, ai consumatori, input prevalentemente negativi. “Dobbiamo renderci conto – commenta Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche, allargando la riflessione – che l’economia contemporanea spesso ci presenta shock positivi e shock negativi che non sono affatto contestuali. E di conseguenza possiamo avere un’alta volatilità dei risultati da trimestre a trimestre”.

 

Archiviata la soddisfazione per i dati Istat è evidente che nei trimestri successivi sarà difficile che si tenga lo stesso passo, anche perché l’economia risentirà dell’andamento dei tassi di interesse e di una ridotta tendenza agli investimenti privati vuoi perché molte imprese dopo l’altalena dei prezzi del gas tireranno il fiato vuoi perché comincia a palesarsi qualche problema sul versante dell’accesso al credito. E qui, volenti o nolenti, si torna alla casella del Pnrr. “Personalmente mi aspetto di capire meglio qual è il vero committment del governo – commenta De Novellis – Tutto lo spazio fiscale a disposizione della coalizione che ha vinto le elezioni è impegnato dal Pnrr e questo può aver dato luogo a un ripensamento interno. Alla sensazione di avere le mani legate e quindi non poter procedere a policy più identitarie”. La domanda, dunque, sarebbe: siamo di fronte a problemi di mero ritardo nelle operazioni oppure la coalizione Meloni può pensare che sia meglio tagliare le tasse che costruire più infrastrutture? La risposta è dirimente anche perché gli investimenti del Pnrr vanno a collocarsi nella stessa filiera delle ristrutturazioni edilizie, sono attivatori di domanda per scuole/strade/ospedali/ferrovie e di conseguenza, sulla carta, dovrebbero dar luogo a una staffetta virtuosa. Ma se per un motivo o per l’altro – ritardi o ripensamenti – il meccanismo si inceppa l’economia reale non può che pagarne le conseguenze.

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