Foto di Filippo Attili, Palazzo Chigi, via LaPresse 

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Come si costruisce una trattativa non demagogica con l'Ue sull'energia

Chicco Testa e Giuseppe Zollino

Il Consiglio europeo a giugno aveva deciso di ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030. Un obiettivo proibitivo. Serve al più presto fissare percorsi e obiettivi sostenibili 

Nell’Unione europea, le emissioni totali di gas a effetto serra nel 2022 sono state il 30 per cento in meno rispetto al 1990. Il 30 per cento di riduzione in 32 anni, cioè l’1,1 per cento all’anno. Sarebbe ora già arduo riuscire a ridurle del 40 per cento entro il 2030, come aveva deciso il Consiglio europeo a giugno 2019; ma arrivare a -55 per cento, obiettivo fissato appena 6 mesi più tardi dal Green Deal con il pacchetto così detto Fit for 55, appare oggi proibitivo.

Servirebbe un tasso di riduzione del 5,4 per cento annuo per i prossimi 8 anni, mentre aumentano le difficoltà tecniche e i costi marginali. Non si vuole negare la necessità di abbattere le emissioni, sino ad azzerarle entro il 2050, se possibile anche prima, ma solo sottolineare che non serve fissare obiettivi roboanti e piuttosto irrealistici (e in questa specialità il Green Deal ha raggiunto vette mai viste prima), quanto definire percorsi pienamente sostenibili che consentano alle migliori tecnologie low carbon di dispiegarsi in tutta l’Unione europea.

Per rimanere all’ambito energetico, le implicazioni di Fit for 55 per l’Italia sono ricavabili dalle stesse analisi di scenario della Commissione. A fronte della prevista crescita del nostro pil, i consumi finali di energia dovrebbero scendere dagli attuali circa 120 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) a circa 102 con un disaccoppiamento assai arduo e con uno sforzo notevole in efficienza energetica. Di questi 102 Mtep, il 36 per cento dovrebbero essere da fonti rinnovabili (oggi poco più del 20 per cento), sia elettriche che non elettriche, ed i consumi finali  elettrificati per il 28 per cento (oggi i consumi finali sono soddisfatti da energia elettrica per una quota del 21,5 per cento).

Aumentare l’elettrificazione dei consumi a quel livello, significa soprattutto trasporti elettrici e riscaldamento elettrico. Ne deriva che sarebbero necessari circa 370 TWh (miliardi di kWh) di energia elettrica, contro i 325 del 2022, generata inoltre per oltre l’85 per cento senza emissioni di CO2. Per fortuna, anche al 2030 una quota potrà essere importata dall’estero, di origine nucleare e rinnovabile. Sarebbe necessario installare 103 GW di nuova potenza rinnovabile (85 GW di fotovoltaico, 15 GW di eolico onshore e 3,5 di eolico offshore), circa 13 GW all’anno (nel 2022, anno record ne abbiamo installati in tutto  circa 2,5 GW).

Inoltre si dovrebbero prevedere batterie per compensare la variabilità delle rinnovabili per circa 160 GWh (ai prezzi attuali costerebbero circa 70 miliardi di euro da sostituire ogni 10 anni circa) da aggiungere ai circa 80 GWh di impianti idroelettrici a pompaggio oggi già disponibili. A fronte di sviluppi della rete di trasmissione più consistenti (e più costosi) di quelli del piano Terna 2021, il fabbisogno di nuova capacità di accumulo potrebbe ridursi, ma l’investimento necessario rimarrebbe estremamente elevato.

Per completare il quadro, elettrificare gli usi finali di energia sino al 28 per cento, significherebbe che nel 2030, dovrebbero circolare oltre 6 milioni di veicoli elettrici, (se ne dovrebbero vendere 800 mila all’anno, a fronte dei 120 mila del 2022), realizzare le infrastrutture di ricarica necessarie, e dovrebbero essere installati 5 milioni di pompe di calore (oggi lo stock italiano è di 1,3 milioni); infine, per il fabbisogno di rinnovabili non elettriche dovrebbe aumentare di 20 volte la produzione attuale di biometano. Il tutto nei 7 anni rimanenti!

Intanto nel 2022 la produzione di rinnovabili è calata a causa delle scarse precipitazioni che hanno ridotto l’apporto dell’idroelettrico e il 2023 sarà probabilmente anche peggio. Il governo e il Parlamento hanno davanti due strade. Far finta di niente e dare per buoni obbiettivi chiaramente irrealizzabili, alzando anche l’asticella del Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) che dovrà essere presto rivisto o tornare a fare i conti con un bagno di realismo. Non lo ha ordinato nessuno che il 2030 debba essere una scadenza perentoria. La transizione sarà un processo lungo e difficile. Già l’orizzonte del 2050 e l’obbiettivo di zero emissioni appaiono più realistici. Soprattutto se anziché continuare a puntare tutto solo sulle rinnovabili si vorrà fare ricorso a tutte le tecnologie low carbon. Nucleare e carbon sequestration incluse. 

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