Foto di Luca Zennaro, via Ansa 

l'analisi

Contro il climate change servono i meccanismi virtuosi del capitalismo, non i divieti

Alessio Terzi

Proibire l’uso dei jet privati è inutile e ci proietta in un mondo distopico. Bisogna invece indirizzare le forze del mercato per produrre innovazione 

Le critiche al capitalismo  attuale sono onnipresenti, e in genere si focalizzano sul fatto che il sistema stia portando a un aumento delle diseguaglianze, a consumi sfarzosi e superflui da parte dei ricchi, e alla distruzione dell’ambiente. Nel tentativo di affrontare in maniera combinata questi tre problemi, molti chiedono di vietare del tutto le attività inquinanti e lussuose come l’aviazione privata. Una chiara comprensione del modo in cui la decarbonizzazione potrà essere credibile in questo settore è la chiave del nostro futuro verde e del tipo di soluzioni che il capitalismo richiede per l’èra del cambiamento climatico.

 

Con la loro enorme impronta di carbonio e il fatto di essere appannaggio degli ultra ricchi, i jet privati rappresentano il perfetto parafulmine per le critiche al capitalismo moderno. Dopo tutto, il proprietario medio di un jet ha un patrimonio netto di 1,3 miliardi di euro, ed è stato dimostrato che molti vip prendono voli di durata inferiore ai 20 minuti ed emettono una quantità di CO2 per passeggero-chilometro da 5 a 14 volte superiore  all’aviazione commerciale. In Europa, l’uso dei jet privati ha un picco durante l’estate, con alcune delle destinazioni più popolari come Ibiza o la Costa Azzurra, il che suggerisce che il loro uso difficilmente può essere considerato una priorità per la società. 

 

Diversi commentatori, attivisti e scienziati hanno quindi chiesto di vietare del tutto l’uso dei jet privati, basandosi sulla posizione di principio che sono inutili e che avvantaggiano marginalmente pochi a scapito di molti e del pianeta. Il divieto dovrebbe fungere da simbolo, in un momento in cui alla popolazione in generale vengono chiesti sacrifici quotidiani come la riduzione del consumo di carne o l’utilizzo dei trasporti pubblici per il bene dell’ambiente.

 

Mentre l’aviazione in generale rappresenta circa il 2,5 per cento delle emissioni globali di gas serra, i jet privati ne rappresentano solo il 4 per cento. In altre parole, un divieto difficilmente riuscirebbe a intaccare un settore che si sta espandendo a ritmi sostenuti (5 per cento all’anno, tra il 2000 e il 2019), a causa dell’uso sempre più diffuso dei voli commerciali, che rappresentano l’88 per cento delle emissioni totali. Certamente, date le proporzioni in gioco, non è che il bilancio delle emissioni di carbonio dei ricchi jet privati possa essere semplicemente ridistribuito al resto di noi. D’altra parte, nel percorso verso l’azzeramento delle emissioni, la teoria del cambiamento che accompagna il divieto di utilizzo dei jet privati è che parti sempre più ampie della popolazione rinunceranno volontariamente a volare, o saranno comunque costrette a farlo dalla regolamentazione.

 

Per estensione, l’astensione volontaria o i divieti dovrebbero essere applicati ad altre palesi fonti di inquinamento, come i grandi Suv, le case troppo grandi, le vacanze lontane e le navi da crociera. In altre parole, si tratta di una visione del mondo che vede nella riduzione volontaria della domanda, e nella coercizione quando questa non è sufficiente, il modo principale per ripristinare l’equilibrio con la natura, spesso inquadrandola come una critica alla “crescita economica infinita”.

 

Dall’altra parte della barricata siedono coloro che ritengono che, sebbene i cambiamenti comportamentali volontari siano lodevoli e da incoraggiare, difficilmente rappresenteranno la maggior parte della transizione verde. Aspettare che tutti abbraccino improvvisamente un principio di sufficienza è una strada che non porta da nessuna parte. In tal caso, ci aspetta una giungla di divieti e proibizioni in un mondo post crescita che diventerebbe rapidamente distopico. 

 

Fortunatamente, alcune delle dinamiche perverse del capitalismo possono essere trasformate in virtuose. In particolare, le grandi ricchezze di pochi possono essere sfruttate per facilitare la transizione verde di molti. Perché ciò accada, tuttavia, è necessario spingere i ricchi a investire in tecnologie verdi all’avanguardia attraverso un mix di tassazione e regolamentazione intelligente. A questo proposito, i jet privati rappresentano un esempio perfetto. La distanza media dei voli privati all’interno dell’Ue è inferiore a 500 km, con una media di 4,7 passeggeri per volo. Ciò significa che i jet privati sono il punto di ingresso ideale per l’aviazione a zero emissioni, sia essa elettrica o a idrogeno, che inizialmente dovrà volare con aerei di piccole dimensioni su brevi distanze.

 

Per favorire queste industrie nascenti si potrebbe immaginare un mix eclettico di politiche, che vanno dall’aumento della tassazione sul carburante per jet all’obbligo di utilizzare il (più costoso) carburante per l’aviazione sostenibile. Alla fine si potrebbe ipotizzare anche un divieto di utilizzo di jet privati a combustibile fossile per le brevi distanze, in linea con lo spirito del divieto di vendita di automobili con motore a combustione interna imposto dalla California a partire dal 2035.

 

Una volta che i fondi privati inizieranno a confluire nell’aviazione a emissioni zero e la produzione aumenterà, si osserveranno guadagni di efficienza lungo le cosiddette “curve di apprendimento”. Le soluzioni innovative saranno sviluppate e applicate ad aerei più grandi, contribuendo a risolvere il difficile compito di decarbonizzare l’aviazione. Anche i prezzi di queste tecnologie inizieranno a scendere, lungo le cosiddette “curve di costo”, facendo coincidere l’opzione verde con quella economica. Questa è l’esatta dinamica che abbiamo osservato per l’energia eolica e solare, che inizialmente erano molto più costose dell’alternativa a combustibile fossile, ma ora non lo sono più. Questo è anche ciò che stiamo osservando con i veicoli elettrici, attualmente appannaggio dei più abbienti, ma che probabilmente raggiungeranno la parità di prezzo con le auto a combustione interna entro i prossimi 1-2 anni, in quella che di fatto sarà una redistribuzione indotta dalla tecnologia dai ricchi alla classe media.

 

Come ha documentato lo storico dell’economia Roger Fouquet, la maggior parte delle transizioni energetiche del passato ha seguìto questa esatta logica, sia che si trattasse di passare dagli animali al vapore, dal vapore all’elettricità o dal carbone residenziale al gas per il riscaldamento. Una  tecnologia migliore  diventa disponibile, ma inizialmente è più costosa. Una piccola parte del mercato è disposta a pagare di più. Investendo in essa, la nuova tecnologia viene perfezionata al punto da poter competere con la fonte energetica esistente. Quando si raggiunge la parità di prezzo, la transizione si diffonde nella società a un ritmo esponenziale.

 

Non c’è motivo di credere che la decarbonizzazione nel XXI secolo seguirà un percorso diverso. Questo non è certo un appello affinché le magiche forze del mercato risolvano da sole il cambiamento climatico, né un’approvazione del capitalismo del laissez faire. Come illustrato dall’esempio dei jet privati, la tassazione, la regolamentazione e occasionalmente anche i divieti possono far parte del kit di strumenti politici, ma dovrebbero servire a ungere le ruote dell’innovazione, accelerando la decarbonizzazione verso l’obiettivo dello zero netto entro la metà del secolo. Il capitalismo ha dimostrato di essere una macchina efficiente nel promuovere l’innovazione in generale, ma ora deve essere arruolato per unirsi alla lotta contro il cambiamento climatico.

Alessio Terzi 
economista e autore di “Growth for Good: Reshaping Capitalism to Save Humanity from Climate Catastrophe”

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